Mercoledi’ 14 settembre “Terraferma” e’ stato protagonista dell’uscita degli Amici del Cinema.
Abbiamo raccolto i commenti di chi ha visto il film quella sera.
Stefano
“Era la prima volta che mi cimentavo con un film di Crialese e sono rimasto molto colpito dalla grande forza visiva delle sue immagini.
Sia che si soffermi su grandi paesaggi naturali, sia che punti il suo obiettivo sui volti dei protagonisti, il regista romano riesce a generare una fortissima espressività, quasi tirando fuori a forza il sottostrato emozionale dalla vicenda.
La forza emotiva di “Terraferma” ha il suo apice proprio nei momenti piu’ intimi (la rabbia della Finocchiaro, l’angoscia di Filippo, l’abbordaggio degli immigrati alla barca dello stesso Filippo) mentre quando Crialese tenta di allargare il campo visivo del film, volendo mostrare ad esempio le terribili condizioni degli africani trascinati in spiaggia dal mare, la tensione cala sensibilmente come se in fondo la dimensione piu’ affine al regista fosse quella piu’ personale.
Gli attori tutti molto bravi. Un bel film davvero.”
Lando
“bel film, bel modo di raccontare un problema serio, personaggi equilibrati nel loro modo di essere vivi e reali, senza grandi esasperate recitazioni spettacolari holliwoodiane. Bravo il ragazzo, bravo Fiorello nel suo voler essere un “vero imprenditore italiano”, se ci sarà un seguito il suo personaggio diventerà un’onorevole del partito dell’amore… brava la donna incinta con bambino brava la madre-vedova con il suo voler cambiare vita e non dover aspettare il ritorno anche del figlio pescatore, il voler essere non più una attendistica moglie e madre di pescatore ma una donna attiva. vorrebbe essere dura con la sua ospite ma non fa che essere semplicemente ospitale.”
Maria Giovanna
“Ancora una volta Crialese sorprende ed emoziona con la forza delle sue immagini, perfette costruzioni simboliche questa volta più saldamente ancorate a un realismo visionario, che aperte a un surrealismo onirico come quelle che chiudono l’insuperato (secondo me) Nuovomondo. Terraferma è un film intenso, dove uno spaccato sociale si dischiude davanti ai nostri occhi in tutta la sua drammaticità attraverso storie di piccoli-grandi uomini e donne, che vivono in un mondo dimenticato fatto di natura e vita semplice, un mondo atavico, per il quale non c’è posto nella modernità. Il miraggio della modernità, con il suo sogno di successo e di emancipazione da una vita tribale, che muoveva la macchina narrativa di Nuovomondo, in Terraferma lascia spazio alla post-modernità di un’immigrazione disperata e senza meta, dove il mare è una speranza ma anche una tomba che inghiotte i sogni e le vite, come dimostrano i fondali esplorati dalla cinepresa, disseminati di oggetti e cimeli di persone destinate a restare senza volto.
Attraverso il mare, che separa le terre ma unisce le genti, attraverso la sua gente e il suo codice, questo film ci racconta un conflitto di civiltà: quella civilizzata dei consumi che irrompe attraverso un turismo evasivo e viziato, quello del relax e del comfort, che presuppone un’etica disumana di cui tuttavia i singoli sono portatori inconsci, e quella non civilizzata (o appena civilizzata) di una cultura semplice e di mersa sussistenza, che vive di pesca e di quello che una terra avara è in grado di offrire e che nelle sue regole anche dure (basti pensare alle scene iniziali di violenza da branco esercitata dagli amici sul debole Filippo che guida il suo motorino nuovo all’inizio del film) non prevede che si lasci morire un uomo in mare.
Si tratta di un film che affida sapientemente la sua capacità narrativa alla forza espressiva delle sue immagini più che alle parole, un film in cui i discorsi parlati chiosano, competano il senso, ma non lo esauriscono, basti pensare alla bellissima scena in cui tutti gli abitanti dell’isola si riuniscono per discutere assieme, come hanno sempre fatto, le loro strategie rispetto a questo fenomeno nuovo e inatteso che è lo sbarco degli immigrati. Culture e generazioni a confronto, visoni del mondo che cambiano, dove a esprimersi sono più i volti arsi dal sole che le parole, dove a “parlare” è la disposizione ordinata in circolo come imposto dalle regole di una democrazia diretta e partecipata di una comunità quasi priva di mediazione sociale.
Un film costellato di immagini intensissime e tecnicamente perfette, dove i luoghi sono quelli dell’anima, gli sguardi quelli interrogativi e comminatori che aprono nel nostro quotidiano faglie di dolore e disperazione, e si imprimono indelebili nella memoria assumendo una valenza simbolica e dando emozioni fortissime.
Come dice bene il suo titolo, Terraferma è un film che ha come punto di vista il mare, o meglio, quello scoglio in mezzo al mare che è l’isola: la terraferma è un miraggio mai mostrato nel film ma che attraversa strisciante l’anima di molti suoi personaggi: per qualcuno è il miraggio della sopravvivenza, per altri quello della modernità e del benessere, che al fil rouge della solidarietà sostituisce quello competitivo e violento delle regole del mercato e della sua etica del respingimento.
La scena finale della barca che solca il mare è promessa di un riscatto che non sappiamo se si ci sarà, perché alla fine del film sappiamo che la vera odissea deve ancora iniziare, perché dopo quello che abbiamo visto non sappiamo più nemmeno se è vero che la terraferma è una promessa di felicità a cui aspirare.”