Mercoledi’ 30 novembre “Miracolo a Le Havre” e’ stato protagonista dell’uscita degli Amici del Cinema.
Come da buona abitudine apriamo lo spazio dedicato a tutti i commenti, critiche e spunti di discussione che vorrete lasciare sul film.
Dati Tecnici
Regia: Aki Kaurismaki
Con: André Wilms, Kati Outinen, Jean-Pierre Darroussin
Durata:103 min
Trama del film
“L’ex scrittore Marcel Marx si trasferisce volontariamente nella città di Le Havre, dove la sua nuova professione di lustrascarpe gli dà la sensazione di essere più vicino alla gente. Mantiene viva la sua ambizione letteraria e conduce una vita soddisfacente nel triangolo formato dal pub dell’angolo, il suo lavoro e sua moglie Arletty, quando il destino mette improvvisamente nella sua vita un bambino immigrato proveniente dall’Africa incontrato nel porto di Le Havre.”
Ieri ho visto all’Apollo MIRACOLO A LE HAVRE di Aki Kaurismaki. Un film tenero e delicato che tratta in maniera geniale il problema dell’immigrazione clandestina. Ovvio che tutto ciò può esistere solo in una favola! Ma per 97 minuti si può anche sognare…
Un bel film.
Recuperato stasera.
lo definirei un piccolo film (giusto per far arrabbiare Cristina) ma la mia definizione di piccolo non vuole assolutamente essere riduttiva, anzi al contrario. Per certi versi mi ha ricordato “io sono Li”, in comune credo abbiano solo il tema dell’immagrazione, ma poco importa erano molto simili le emozioni che ne ho ricevuto. L’essenzialità è in netto contrasto con la dichiarata surrealità della storia, dove nella banlieu è tutto pulito ed idilliaco e dove abbondano i buoni sentimenti. Ed è in questo contrasto che nasce la poesia che raggiunge il suo massimo al concerto di Bob. Forse un po’ stucchevole la morale finale “una vita x una vita”, ma mi ha comunque migliorato la serata.
Un grande scrittore, non ricordo chi, dice, più o meno, che un libro è bello, quando, finito di leggerlo, vorresti il numero di telefono del protagonista. Io, dopo dodici secondi di “Miracolo a Le Havre”, ho capito che avrei desiderato per tutta la vita bere un Calvados con il protagonista, Marcel Marx. E anche con il buon commissario. Un sogno a occhi aperti. Una favola sincera.
Un film bellissimo.
Condivido quanto scritto da Stefano, Cristina R. (eccetto il lasciarmi fredda) e Cristina B. Il mio legame con Kaurismaki è principalmente emotivo per quella sorta di sporcizia dell’ambientazione, per metter spesso il porto nelle sue storie, per queste mani e volti e corpi che portano il segno del tempo, del lavoro e della fatica; la recitazione può essere pacata, trattenuta, perché sono il corpo, la fisionomia, a parlare. E’ come se ogni suo film avesse il sottotitolo “con gli occhi di Kaurismaki”: la mia impressione è che lui veda il mondo così, che la sua non sia una semplice costruzione narrativa, uno stile di regia o di scrittura filmica, piuttosto una aberrazione come il daltonismo. E’ uno sguardo che in una discarica riuscirebbe a scovare l’unico fiore: è vero che i suoi racconti hanno un che di favolistico ma a me piace pensare che sia una favola data dal riuscire a scovare attimi di realtà benigna in una realtà che tanto benigna non è. Vedere i suoi film mi fa sempre ricordare una sera, ero con il babbo alla biglietetria di piazzale Roma, era sera tardi, non ricordo cosa stessimo aspettando, c’erano due clochard seduti di fronte a noi, un uomo e una donna, l’uomo cinse le spalle della donna, stringendola a sé ma non troppo, e il mio babbo disse “Guarda quanta umanità c’è in questo gesto, così difficile da trovare”. In quel momento eravamo tutti sotto la luce di Kaurismaki e forse, per un attimo, siamo sembrati immobili e vestiti di un’altra epoca.
Condivido Stefano al 100%, e per me è stato il film più bello visto negli ultimi mesi! I quasi fermo immagine erano di una bellezza coinvolgente, immagini nitide e intense, con i colori già citati contrastati da macchie rosse o gialle, con la ricercatezza di un grande pittore! Dialoghi schietti, semplici, chiari e niente buonismo, solo tutto spontaneo e non “apparentemente” spontaneo. I personaggi sono tutti interessanti, puri e senza ombre, nessuno che sembri forzato o artefatto, perfino e ovviamente Laika! E anche le citazioni evangeliche rendono bene il concetto, senza inutile insegnamento cristiano, ma spiegando il miracolo, un ritorno karmico. Certo comunque una bella favola, raccontata così bene che fa pensare per quel momento che possa quasi essere reale!
Devo ammetterlo, ieri sera, complice il buon vino bianco dell’aperitivo, durante la visione ho risentito di qualche momento di scarsa lucidità….ciò non mi ha impedito di apprezzare il film sia per ill contenuto che per la scelta registica. A mio parere ciò che rende efficace questo film è la forza della semplicità e dell’essenzialità.
Il film parla di solidarietà e di fratellanza tra gli uomini e trasmette un messaggio esemplare ed essenziale al tempo stesso : il vero miracolo si realizza non grazie al favore divino, ma come risultato dell’azione e dell’impegno congiunto degli uomini. Non sono le grandi organizzazioni, i giochi decisi dall’alto dei centri del potere e della finanza a cambiare il mondo, ma sono le azioni degli umili, degli ultimi, dei più poveri diseredati a produrre speranza e futuro in cui credere. I lustrascarpe ( quelli che per mestiere sono destinati a guardare il mondo dal basso in alto) sono gli unici che davvero sanno realizzare nei fatti l’evangelico discorso della montagna. Tutto questo è narrato con grande semplicità : poche inquadrature, pochissimi spostamenti della macchina da presa, una scenegiattura scarna ed essenziale, luci dirette e colori pieni Non c’è spazio per la commozione, ma la volontà di comunicare con esemplare chiarezza ed efficacia un messaggio di senso : il futuro del mondo è nella capacità dell’uomo di essere solidale con altri uomini…
Mi è piaciuta molto questa favola moderna, il tipo di inquadrature fisse, molti primi piani, mi ricordavno certi film anni 60/70 di produzione nord europea o dell’est.
Oltre al miracolo della guarigione della moglie, alla quale è molto legato Marcel, c’è il piccolo miracolo della solidarietà e aiuto tra persone appartenenti ai bassi ceti sociali.
Crialese, Olmi e Kaurismaki trattano questo problema dei migranti, ognuno ha sottolineato un aspetto.
Crialese ha spettacolarizzato in alcune scene il salvataggio di questi disperati, che rischiavano di affogare e ha poi puntato sulla legge morale che impone a un marinaio/pescatore, di salvare chiunque si trova in pericolo in mare aperto.
Olmi ha fatto suo da credente l’appello di Dio ad accogliere chi chiede aiuto.
Kaurismaki fa uscire il suo personaggio da una vita routinaria, aiutando Idrissa, scopre anche il problema dei rifugiati. Viene poi a sapere che il suo collega sciuscià non è cinese, ma cambogiano, gli serviva un identità per esistere, per vivere, per esercitare i suoi diritti.
Il tema dell’immigrazione è trattato con più stile rispetto al “Villaggio di cartone” di Olmi. Nota di merito per ‘imperturbabilità di Marcel Marx. Godibile.
Io sono stato letteralmente conquistato da questo film.
Amo l’essenzialità dei personaggi, da Marcel Marx, a Idrissa, all’Ispettore Monet, sono persone prive del superfluo, con il carattere scolpito nella concretezza dei sentimenti.
Molto bella la regia, con tante inquadrature, quasi come quadri o foto, immobili come per trattenere per un attimo il concetto stesso delle cose per poi lasciar fluire poi lo scorrere del film.
Anche i colori sul verde smeraldino, sul blu riescono molto a caratterizzare la pellicola.
E’ uno stile particolare quello di Kaurismaki e a me piace molto.
“Miracolo a Le Havre” e’ una favola che ci fa sperare che con la bontà d’animo si possano davvero cambiare le vicende umane (al massimo quelle quotidiane).
D’altronde, come ricorda Kaurismaki nell’intervista su Ciak di questo mese, Havre deriva da Heaven…
Sono d’accordo con Cristina su tutto, ma diversamente da lei non sono rimasta fredda. L’ho trovato un bellissimo racconto per immagini, con una splendida ambientazione in questo microcosmo forse un po’ autorefernzialeche si rifiuta di accettare le parti più egoistiche della modernità.
Che dire, è un film perfetto. Kaurismaki ci fa entrare in una favola al di là della storia dove amore, amicizia, solidarietà sono i valori della comunità umana che ospita e protegge il piccolo immigrato dalla barbarie della legge e della modernità. Tutto ciò che è umano nel film ha un sapore antico: l’autobus, le auto anni ’60, il poliziotto amico che sembra uscito da un libro di Simenon, il grammofono con la puntina che gracchia , le vecchie botteghe, little bob e il suo rock’n roll. La modernità con gli euro, il cellulare e le auto della polizia richiama egoismo e grettezza. Inquadrature, dialoghi, sentimenti: tutto nel film è rappresentato nella sua essenza, senza alcuna sbavatura o concessione al superfluo. Ma, alla fine, questa essenzialità perfetta mi lascia fredda.