Questo e’ lo spazio dedicato a tutti i commenti, critiche e spunti di discussione che vorrete lasciare sul film “Cesare deve morire”.
Dati Tecnici
Regia: Paolo e Vittorio Taviani
Con: Cosimo Rega, Salvatore Striano, Giovanni Arcuri, Antonio Frasca, Juan Dario Bonetti, Fabio Cavalli.
Durata: 76 min
Trama del film
“Nella sezione di Alta Sicurezza del carcere di Rebibbia il regista Fabio Cavalli prova il ‘Giulio Cesare’ di Shakespeare: come attori ci sono i detenuti, dei quali alcuni segnati dal ‘fine pena mai’. Quotidianamente, nelle celle, nei cubicoli dell’ora d’aria, nei bracci del penitenziario, il film documenta le cadenze oscure delle giornate dei reclusi e di come, attraverso prove che sempre più li coinvolgono nel profondo, s’innerva di forza e di vita la pagina del grande testo shakespeariano, fino al successo della messa in scena, davanti ad un pubblico, nella sala teatrale di Rebibbia.”
Trailer
Mi sento un uomo fortunato: in due giorni ho letto un magico libro italiano (“Mr Gwyn” di Baricco) e visto uno stufacente film di due ultraottantenni sempre italiani (appunto “Cesare deve morire”).
Ho bevuto due distillati del miglior vino artistico italiano e sto ancora gustandomi con il pensiero ogni singola goccia, brivido dopo brivido.
Penso che il testo “Giulio Cesare” di Shakespeare sia un opera quasi perfetta, ogni parola e’ incastonata stabilmente nel tessuto narrativo ed e’ come se il suo posto non potesse che essere li’, c’e’ una assolutezza che quasi mi spaventa.
Questa impressione penso abbia sicuramente colpito anche i detenuti del carcere di Rebibbia che hanno fatto loro l’opera del bardo inglese come vestendo un abito gia’ indossato in passato.
Si perche’ in loro le vicende, i temi, gli odi, i dolori, i tradimenti di Cesare, Bruto, Cassio e Antonio le hanno conosciute veramente nella loro vita (e lo ricordano piu’ volte nel film), quello che non hanno mai vissuto e’ appunto l’assolutezza, la necessarietà estrema che anima i personaggi della tragedia. Hanno vestito un abito conosciuto, ma l’opera gli ha donato un anima, vogliamo essere piu’ prosaici e chiamiamola consapevolezza, che non gli abbandonerà mai piu’.
Intenso, forte nel suo tragico bianco e nero (io lo avrei mantenuto anche nelle scene finali), pieno di scene magistrali, e’ un film che da lustro davvero al nostro paese e a una coppia di registi ancora con la voglia di sperimentare e di osare strade non ancora battute. Insieme a “This must be the place” il piu’ bel film italiano della stagione (mi restituisce fiducia dopo la brutta esperienza di Faenza…).
Ho apprezzato ampiamente il film dei fratelli Taviani, che mi ha anche permesso di tornare in contatto con mie personali esperienze passate ( non di carcere !) Alla fine dei miei studi pedagogici ho scritto la mia tesi sulla valenza formativa del teatro di ricerca….per molti hanno ho praticato laboratori di teatro sociale, che includevano persone con problemi psichiatrici o disabilità. In queste esperienze ho avuto modo di apprezzare il valore catartico e trasformativo che il lavoro teatrale ha per chi lo vive sulla sua pelle. Quando si pratica il teatro di ricerca la performance finale è solo un punto di arrivo, ma è tutto il lavoro di preparazione a quella performance ad avere valore e importanza per chi lo pratica. Il film dei fratelli Taviani ha il grosso merito di mostrare mirabilmente il modo in cui il lavoro di preparazione alla rappresentazione teatrale coinvolge e trasforma chi lo pratica. Mette in luce il processo di “liberazione” che coinvolge chi mettendosi nei panni di un personaggio fittizio ( sia esso Cesare, Bruto o Cassio) riesce a dare corpo e voce a quel personaggio fino a farne espressione della sua personalità e del suo modo di essere. Nella realtà odierna le esperienze di teatro sociale sono numerose e spesso misconosciute…eppure la loro valenza espressiva è spesso rilevante…grande merito ai fratelli Taviani per aver presentato almeno una di queste esperienze e averne sottolineato sia il valore artistico che umano !
Nel’ 2009 vidi un film italiano intitolato: “Tutto colpa di Giuda”, gli attori erano professionisti, Kasia Smutniak, Fabio Troiano, Luciana Litizzetto, come per la pellicola dei Taviani anche lì si parlava di una rappresentazione teatrale da mettere in scena all’interno di un carcere. Nel film di Ferrario la rappresentazione teatrale era “La passione di Cristo”, nessuno dei detenuti voleva interpretare il ruolo di Giuda e cioé dello spione, del traditore e poi c’era la lotta tra il cappellano del carcere e la regista teatrale su chi ci salverà: la cultura, o la fede? Il film dei Taviani è diverso, qui detenuti veri devono recitare nel loro dialetto un dramma di Shakespeare, si immedesimano nella parte. Per loro recitare è come evadere, dalla prigione, il detenuto che interpreta Giulio Cesare, rilegge il testo e lo apprezza ora, mentre ai tempi del liceo non gli piaceva. Alla fine della rappresentazione i detenuti esultano come allo stadio dopo un gol, sono riusciti a esprimersi e a rendere attuale un testo drammaturgico di Shakespeare, la gente applaude. Il ritorno mesto in cella a testa bassa e quel detenuto/attore, che una volta entrato dice:”Da quando ho conosciuto l’arte, questa cella è diventata una prigione”, questo vuol dire che anche chi è dietro le sbarre è un essere umano e bisogna aiutarlo a cambiare vita. Per tornare al film di Davide Ferrario: “La cultura ci salverà” diceva con orgoglio Kasia Smutniak.
Entusiasmante, poetico e potente. Un film che racconta il potere, o , meglio, la capacità del teatro di protare una luce, una gioia, un arricchimento anche nelle situazioni più disperate. Con una disperazione che però si percepisce chiaramente e sottolineo a questo proposito l’abilità nell’utilizzare i diversi spazi del cinema per le diverse inquadrature, nonostante che sia chiaro l’intento dei fratelli Taviani di puntare il riflettore su attori, non su detenuti. Non conosco “Tutta colpa di Giuda”, leggendo la trama però sembra anche a me che sia un film più basato sull’esperienza carceraria in quanto tale che sulle enormi potenzialità di questa messa in scena teatrale, per di più Shakespeariana, che coinvolge attori e pubblico a tutto tondo.
Che sorpresa e che meraviglia! Un film davvero bello, emozionante e originale nel suo amalgamarsi di recitazione e realtà!
Le riprese sugli sguardi ardenti e intensi dei protagonisti ti incollano allo schermo, i dialetti passano dal tono “volgare” al tono “nobile” di novelli bravissimi attori e ci si rende conto di quanto l’arte faccia miracoli e di quanto siano giuste e importanti le iniziative che la promuovono all’interno delle carceri.
Alla fine dello spettacolo teatrale vorresti applaudire come se davanti ci fossero proprio loro e gratificarli di un omaggio sincero e sorpreso. Orso d’Oro meritatissimo!
Su segnalazione di un amico …
http://it.wikipedia.org/wiki/Tutta_colpa_di_Giuda
Mi sembra che a parte l’ambientazione nel carcere, tutta colpa di giuda non ha nulla a che vedere nè con Cesare nè con Shakespeare, che sono invece l’anima del film dei fratelli Taviani.
La sceneggiatura di Davide Ferrario per Tutta Colpa di Giuda è inventata da lui. Invece i fratelli Taviani usano Shakespeare per allargare i confini di senso dei detenuti e per allargare i nostri confini di percezione di ciò che è un uomo all’interno di un carcere. Ed è significativo che la stessa scena, vista all’inizio del film, quando gli attori sono per noi anonimi personaggi ci lascia indifferenti, mentre alla fine del film commuove. Il film, il teatro e Shakespeare hanno trasformato il concetto astratto di colpevole in essere umano.
Sarà che amo il teatro, e Shakespeare in particolare. Sarà che Giulio Cesare è una tragedia che conosco bene grazie al film con Marlon Brando. Sarà che amo la musicalità del dialetto napoletano. Ma l’emozione che mi ha provocato questo film è quasi indescrivibile.
Sgombriamo il campo da un equivoco: non è assolutamente un documentario. E’ un adattamento del Giulio Cesare di Shakespeare in dialetti vari, principalmente quello napoletano, girato all’interno del carcere di Rebibbia e solo per qualche scena nel teatro del carcere. Proprio questa ambientazione dentro il carcere è l’idea vincente del film: verità e finzione diventano la stessa cosa. Così assistiamo a un film di attori per i quali la tragedia che raccontano è prima di tutto vissuta. Ma anche un film che attraverso il teatro fa emergere la verità tragica degli attori che vi recitano.
E ancora, è un film che racconta come la cultura, attraverso le parole sublimi di Shakespeare, possa portare alla consapevolezza di sè e a cambiare completamente i propri orizzonti di senso.
Come ha spiegato Paolo Taviani (o era Vittorio?), la frase di Cassio “Da quando ho conosciuto l’arte, questa cella è diventata una prigione” è la frase di un camorrista che ha capito che esiste un altro mondo oltre quello malavitoso nel quale è sempre vissuto.
Per questo gli attori del film hanno detto ai registi al momento dei saluti “Da domani, niente sarà più come prima”, facendoli commuovere.
Oltre a tutto questo, e nonostante l’età dei registi, è anche un film modernissimo, in cui Shakespeare e la realtà dei detenuti diventano indistinguibili. Ad ogni cambio di scena ci vuole sempre un attimo a decidere se i personaggi stanno recitando o sono invece semplicemente se stessi.
E anche per me spettatore domani niente sarà più come prima.