Domenica 18 aprile gli Amici del Cinema sono andati a vedere “La caverna dei sogni dimenticati” allo Spazio Oberdan. Questo è lo spazio dedicato ai vostri commenti, osservazioni, critiche su questo film.
Dati tecnici:
Regia: Werner Herzog
Con: Werner Herzog, Charles Fathy
Durata: 95 minuti
Trama: Scoperta per caso nel 1994 dallo speleologo Jean-Marie Chauvet, la grotta Chauvet, situata in Francia, lungo il fiume Ardèche, contiene quasi 500 pitture rupestri risalenti a 32000 anni fa. Stando alle conoscenze attuali, le più antiche mai ritrovate. Werner Herzog, incuriosito da un articolo del New Yorker, ottiene dal Ministero francese della Cultura il permesso di filmare per alcune ore al giorno, pochi giorni in tutto, all’interno della grotta, normalmente chiusa ai visitatori per proteggerne il clima eccezionale. In compagnia di alcuni geologi, archeologi, storici dell’arte e del periodo preistorico, Herzog penetra nelle profondità della terra e della storia, armato di una piccola telecamera assemblata per l’occasione, di una luce fredda per non compromettere l’umidità delle pareti, di una curiosità come suo solito smodata e di una buona dose di ironia pronta all’uso.
Trailer:
http://www.youtube.com/watch?v=oZFP5HfJPTY
Il film-documentario di Herzog è prima di tutto una gioia per gli occhi oltre che un interessante salto a piè pari nel tempo, o meglio dire nei tempi, in cui queste caverne erano frequentate dall’uomo di Cro-Magnon, tempi al plurale perché uno degli aspetti sottolineati dal film è la sovrapposizione dei tempi a cui appartengono le testimonianze, delle orme di uomini e animali, dei disegni lasciati sulle rocce, sovrapposizione che impedisce di stabilire una rigorosa catalogazione e nello stesso tempo permette analisi concettuali che spaziano dall’antropologia alla filosofia, in particolare sul senso del tempo che nella caverna, dove l’impatto umano resta congelato a quei tempi, ha avuto un effetto diverso dal resto intorno.
Analisi che si sviluppano nel post scriptum del film che ha lasciato non poche perplessità: ritornando ai nostri giorni, a soli 30 km dalla caverna è stata costruita una centrale nucleare(!?) le cui calde acque reflue vengono utilizzate per alimentare un ecosistema tropicale chiuso dove vengono fatti vivere coccodrilli soggetti, come si riscontra, a mutazioni genetiche, infatti alcuni di essi sono albini. Di difficile interpretazione le questioni poste: come potrebbero i coccodrilli avere un’impressione entrando nella caverna, così come immagina la voce narrante? come le mutazioni climatiche (naturali e indotte) possono determinare un nesso o una diversa interpretazione di quello che è stato scoperto?
Esulando da questi interrogativi che all’uscita dalla sala hanno comunque animato la conversazione, il film offre attimi di puro piacere per i sensi, con le immagini rupestri di uno (l’uomo dal mignolo storto ) o più geni pittorici che, nonostante si parli degli albori dell’umanità, esprimono un talento incredibile, colpiti dalla bellezza e dalla suntuosità naturale del posto, immagini ancora più strabilianti se si pensa che sono state realizzate in maniera tridimensionale (sarebbe stato interessante vederlo effettivamente in 3D) sfruttando le forme della roccia e dando quell’impressione di movimento che il film mette ben in evidenza con il semplice chiaro scuro svelandoci tutta la magia e il senso soprannaturale che questi uomini dovevano provare in questo posto così affascinante portato intatto a noi grazie ad una frana.
Sensazioni che il regista ha ben trasmesso nonostante la difficoltà in termini di tempo e strumenti davvero esigui a disposizione, ma forse è proprio questa semplicità delle riprese il pregio di questo film.
Basta questo perché il film, forse un po’ troppo lungo in alcuni superflui e poco interessanti interventi didascalici, meriti comunque di essere visto….
Infine colpisce la cura amorevole, quasi l’attenzione personale, con cui viene protetta questa grotta: pensando all’incuria riservata alla nostra Pompei e ad altri siti archeologici italiani, viene un po’ lo sconforto.
Un vertiginoso viaggio tra passato e presente dell’umanità, tra misticismo e scienza, tra sacro o profano.
E’ un documentario fatto di opposti quello di Herzog che si cala con tante domande all’interno della grotta Chauvet e ne esce senza risposta, ma con tanti pensieri e tanta meraviglia.
Si perche’ i disegni che i nostri antenati hanno dipinto (o come viene detto gli spiriti hanno dipinto tramite loro) sono bellissimi e segni di una sensibilità (quella di voler rappresentare e dare forma e senso alla realtà) che continua fino ai giorni nostri.
Pur se avrei gradito qualche sforbiciata qua e la per rendere il tutto piu’ concentrato, alcune scene sono veramente da brividi: personalmente amo quella nella quale il silenzio della grotta, interrotto dallo sgocciolare dell’acqua, si sincronizza con il battere del cuore del regista e degli archeologi.
Inaspettata per me invece l’ironia che Herzog mette nel documentario e che, sdrammatizza giustamente, alcuni momenti troppo sacrali.
Infine una frase mi e’ rimasta impressa: “l’uomo attuale e’ bloccato nella storia, mentre l’uomo antico no”… ho colto in questo una grande invidia per l’uomo di allora, libero e leggero come l’umanità non e’ piu’ in grado di essere.