Mercoledì 11 aprile gli Amici del Cinema sono andati a vedere Piccole Bugie tra Amici al Cinema Apollo. Questo è lo spazio dedicato ai vostri commenti, osservazioni, critiche su questo film.
Dati tecnici:
Regia: Guillaume Canet
Con: François Cluzet, Marion Cotillard, Jean Dujardin, Benoît Magimel
Durata: 154 minuti
Trama: Dopo una notte brava in discoteca, Ludo ha un brutto incidente in moto e viene ricoverato d’urgenza in ospedale. I suoi migliori amici, dopo aver visto la gravità delle sue condizioni ma esser stati rassicurati dai medici sulle possibilità di recupero, decidono ugualmente di partire per l’annuale ritrovo a Cap Ferret. Là, Max, il più ricco ma anche il più pedante del gruppo, ha una villa dove tutte le estati invita gli amici di sempre a trascorrere qualche settimana fra vita di mare e gite in barca sull’oceano. La vacanza, anziché calmare gli animi, farà emergere tutte le nevrosi, le paure e le incomprensioni tenute nascoste da una vita.
Trailer:
Concordo totalmente con Stefano e Annafranca, purtroppo. Avevo altre aspettative…E poi troppo, inutilmente lungo! Un film in cui in generale gli uomini non fanno una gran bella figura….
Quanta verità ho ritrovato in questo film di Canet, e quanto coraggio nel raccontarla in una commedia capace di farci ridere fino alle lacrime. E quanto equilibrio nel costruire una vicenda corale che non privilegia nessun personaggio, ma riesce a raccontarci di tutti anche attraverso lo sguardo degli altri. Forse questo equilibrio si perde un po’ nei venti minuti finali, forse un po’ troppo lunghi, forse un po’ troppo “risolutivi”, mentre sappiamo che raramente lo sono i singoli momenti della vita. E c’è un altro momento di troppo per me nel film, il pistolotto di Jean-Louis. Superfluo perchè già riassunto nella domanda “Ma sei andato e tornato in giornata?”.
Per il resto è un film perfetto, che scorre con la stessa velocità della vita, regalandoci, come la vita,dei momenti di magia assoluta, alcuni drammatici, altri assolutamente comici. Provo a citarne alcuni, tra quelli che mi hanno emozionato o divertito di più.
La corsa liberatoria sulla spiaggia della moglie di Vincent, il bellissimo Benoit Magimel, o il suo correre a indossare della biancheria sexy per fare l’amore. Perchè una donna attribusice sempre a sue mancanze una passione troppo tiepida. L’accanimento di Max contro le faine, a mascherare la rabbia contro una realtà che non riesce ad accettare, con la bellissima immagine del sogno in cui Vincent e la faina sono assieme. Eric, l’attore, che anche nella vita recita un personaggio dal quale non riesce a liberarsi mai, neanche per raccontare agli amici la sua vera storia.
E poi Marie, innamorata di Ludo o meglio dell’idea di un Ludo con il quale andare a vivere e costruire una vita, ma da cui il vero Ludo è lontano, perso com’è tra discoteche, divertimenti e droghe.
Il dettaglio di Marie che si emoziona ascoltando “talk to me”, e allora si alza e va in cucina a riordinare i piatti come se la materialità degli oggetti potesse annullare la forza dell’emozione, per me è tra le più toccanti del film.
Infine, alzi la mano chi tra noi donne, coltivando amicizie maschili profonde, non si è sentita prima o poi rivolgere la fatidica domanda: “Ma io e te perchè non abbiamo mai scopato”?
La profonda verità dei dettagli è ciò che rende questo film meraviglioso. La bravura di Canet è di averci costruito sopra una commedia spassosa, invece di un dramma a pugno nello stomaco.
Ho ritrovato in Marie il dramma del protagonista di Shame. Raccontato attraverso la dolcezza del sorriso, invece che le durezze del viso di Fassbender. Ma non per questo meno profondo.
Come ha insegnato Woody Allen, la stessa storia si può raccontare in forma di dramma o in forma di commedia, con la stessa dignità. L’importante è proteggerne la verità.
Ne “Il nome della rosa”, il secondo libro della poetica di Aristotele, quello riguardante la commedia, era un libro nascosto e celato negli infimi dell’abbazia per via del suo messaggio dirompente, ovvero che la commedia con il sorriso era in grado di arrivare al cuore delle persone piu’ del crucifige cristiano.
E dunque questa forma e’ in grado assolutamente di raccontare i dolori e le gioie delle vicende umane.
Non e’ quindi ne mezzo il problema, ma nell’utilizzo.
Canet si ferma per me solo alla superficie delle cose, i dettagli di cui parli sono degli sguardi banali che non dicono molto sui personaggi e sopratutto non gli evolvono. Come succede per le figure di cartone.
In Shame poi il volto di Fassbender veniva quasi deformato dal tumulto interno dei propri sentimenti autodistruttivi, qui invece in Marie vedo solo una smorfietta che e’ un puro esercizio ginnico dei muscoli del volto, ma che non e’ prodotto da una reale esigenza di sentimento.
Anche in Shame il personaggio non evolve. E’ una scelta artistica quella di porgere un’ instantanea dei personaggi in un determinato momento, senza suggerire soluzioni.
In realtà nel film di Canet l’evoluzione di Marie si può intuire: il suo innamoramento dell’ idea di Ludo (perchè il vero Ludo era altro) finisce nel momento in cui lui muore. Maria è quella che ne soffre di più, perchè crolla il suo sogno inconfessato, ma proprio per questo forse si aprirà alla realtà.
Trovi banale una donna innamorata di una propria idea di uomo che in realtà non esiste? Che rifiuti di emozionarsi per non rinunciare a quel sogno? A me, onestamente, sembra un personagggio molto vero. Non riesco a vederci la superficialità.
Il film è divertente, nonostante l’inizio tragico: si ride delle debolezze di chi è stato mollato e non se ne fa una ragione, di chi è imbarazzato per la confessione d’amore di un caro amico pari sesso, di chi cerca insoddisfatto e bisognoso di conferme extra improbabili compagne per una notte. Si ride delle nevrosi e delle insoddisfazioni altrui sperando che l’inizio tragico abbia un senso, che dia una spinta all’evoluzione, una risoluzione , una conclusione ai personaggi di questa combriccola di amici comunque bella e affiatata nonostante qualche scricchiolio….ma questo non succede, il cerchio non si chiude.
E pure la nostalgia dello struggente pezzo di Maxim Nucci li vede lì al tavolo senza una chiara reazione: annoiati o riflessivi, non si capisce.
La morte dell’amico fraterno di tutti, lasciato solo a morire non per indifferenza, perché il pensiero a lui è costante, non per egoismo perché alla fine la vacanza è solo lo scopo di stare insieme come se lui fosse lì, diventa inutile nel film, senza senso, comprese le accuse finali del vecchio amico saggio.
E i discorsi sul feretro dell’amico diventano patetici.
I personaggi vanno per la loro strada anche senza di lui, anche senza questa tragedia. C’è qualcosa che non quadra, ancor più per una commedia francese da cui mi aspetto, soprattutto nelle evoluzioni delle caratterizzazioni, qualcosa di più!
Carino a pezzi, per 4/5 o per 2/3….insomma incompleto!
Ludo è personaggio fondamentale del film. Perchè è lo specchio di tutti. Il mondo di piccole bugie, di ipocrisie, di non detto, di non ammesso neanche a se stessi, viene messo in crisi dalla brutalità improvvisa dell’ incidente di Ludo. E Ludo è anche la ragione della fuga dalle emozioni di Marie.
Ludo, in fondo, è morto solo, perchè solo aveva voluto vivere, rifuggendo i legami profondi e privilegiando un edonismo superficiale. La bellissima scena iniziale ne è la metafora: tutti lo salutano, ma la telecamera lo inquadra sempre da solo.
Una occasione sprecata. Con rammarico posso dire che “Piccole bugie tra amici” pur avendo assemblato un cast di tutto rispetto con ottimi attori del cinema francese (strepitoso François Cluzet, ottimi Gilles Lellouche e Marion Cotillard, fidanzata del regista), naufraga, come in una scena, nelle secche di una sceneggiatura piatta e banale.
Per quasi tutta la durata del film i personaggi mi sono sembrati degli stereotipi e non delle figure vere e profonde: c’e’ lo stressato, il donnaiolo, il tonto amoroso, il delicato gay… insomma quasi delle tipologie astratte sulle quali poi non c’e’ mai nessuna evoluzione… cosi’ sono cosi’ rimangono…
Sul finale qualche bel guizzio (il viaggio a Parigi) mi lasciava ben sperare e poi il funerale finale ha riportato la qualità del film verso il solito lacrimevole refrain, facciamoci due pianti e via tutto risolto, abbiamo lavato la coscienza a nuovo.
Una tagliata di durata e qualche sceneggiatore migliore avrebbero reso piu’ giustizia all’idea di partenza e agli interpreti.
Comunque il film e’ divertente e si lascia guardare piacevolmente… ma se cerchiamo la qualità e lo spessore allora meglio andare in un’altra sala cinematografica…
Io davvero non riesco a trovare molti stereotipi in questo film, se non forse Nassim, che però è un personaggio minore.
Prendiamo Max, cui François Cluzet ha regalato un’interpretazione indimenticabile, è lo stereotipo dello stressato, dici tu. In realtà lo sguardo del film è più profondo di così. Max è uno che vorrebbe essere amato da tutti mentre è del tutto incapace di amare. Max è rigido e incapace di accettare ciò che non coincide con la sua idea di giusto . Max ha bisogno di comandare, perchè non sa adattarsi alle decisioni degli altri. Max non è generoso perchè è attaccato alle cose che possiede. Da tutti questi elementi deriva lo stress continuo che vediamo nel film. Superficiale? A me non sembra.
E potrei continuare così, per ognuno dei personaggi. Ho trovato in tutti azioni che indicano psicologie complesse, vere e tutt’altro che superficiali.
Concludo con Jean Louis. All’inizio mi era sembrato lui lo stereotipo della brava persona che vive nella natura, incontaminato dalla falsità della borghesia cittadina. E invece Canet è molto più cattivo. Anche lui ha le sue falsità: fa l’amico di tutti, pur disprezzandoli sotto sotto, perchè gli portano quei soldi, senza i quali non potrebbe fare il puro incontaminato che pretende di essere.
E la conclusione del film è terribile, ma assolutamente vera: la vita glamour del single di città, pieno di presunti amici, sempre pronto a bere e a divertirsi, senza legami affettivi, è una scelta di solitudine. Che non si modifica con la malattia e la morte. Non perchè gli amici siano egoisti. Semplicemente esprimono la natura dei legami che Ludo ha voluto per se quando stava bene.
Cristina io sono sicuro che i personaggi del film siano piu’ profondi di quello che superficialmente appaiono: come nella vita reale quasi nessuno e’ uno stereotipo, ognuno nasconde piu’ o meno una diversa complessità che guida i propri comportamenti.
Quello che mi aspetto pero’ da un regista o da uno sceneggiatore e’ quello di suggerire, non spiegare attenzione, allo spettatore questi tratti caratteriali, con avvenimenti, piccole espressioni, segni, anche piccoli, ma significativi.
François Cluzet ad esempio, concordo sul bravissimo, compie per tutto il film atti estremi da vero stressato (le faine, gli scatti di ira telefonici e non), ma come ci vengono spiegate le sue motivazioni ? Con dei lacrimevoli abbracci di scuse con Benoît Magimel o quando Jean-Louis fa il suo pistolotto finale. E per gli altri e’ lo stesso.
Questi bei personaggi che tu hai tratteggiato, per me sono frutto di una interpretazione che non ha corrispondenze nel film.
Che non racconta i personaggi, li film solo e lascia completamente l’introspazione allo spettatore senza dargli appigli concreti.
Forse hai ragione Stefano. E questo tuo commento mi ha fatto sentire un po’ come Elio Germano in “Magnifica Presenza”, anche lì i bei personaggi li vedeva solo lui…
Non è vero Cristina, io invece mi ritrovo completamente nella tua analisi e se finora non avevo ancora scritto niente era solo perché non ho nulla da aggiungere rispetto a quello che hai già scritto. Anche a me il film è piaciuto molto e non trovo affatto che i personaggi siano stereotipati. Essendo un film corale non c’è tempo né modo di analizzare la storia di ciascuno, quindi dobbiamo essere noi – con le nostre esperienze personali, con le nostre capacità introspettive – a intuirle. Ma il tutto è facilitato da attori straordinari, in primo luogo François Cluzet, personaggio che io ho trovato a tratti divertentissimo ma mai una macchietta stereotipata (soprattutto nella scena finale in cui abbraccia Vincent, che io ho trovato particolarmente toccante, così come la confessione di Vincent e il personaggio di Vincent in generale, altro ottimo attore). La combriccola di amici mi ha ricordato un analogo gruppo di francesi che avevo conosciuto in vacanza molti anni fa dalle parti di Bordeux: stesso stile, stessa esteriorizzazione dei sentimenti e una certa superficialità di fondo. Anche allora ero stata al contempo affascinata e un po’ infastidita da queste caratteristiche, Les petit mouchoirs (mocciosi, come suggerisce Chiara, mi sembra un’ottima traduzione) mi ha permesso di comprendere meglio le sensazioni che ho provato allora.
A me è sembrato un film mediocre con alcuni bravi attori. I tre quarti del film hanno lo stile e il ritmo di un serial televisivo o di un nostro cinema panettone, con l’aggiunta di un po’ di spumante francese di seconda scelta. Lo schema narrativo è classico e già ben collaudato, si è fatto riferimento al vecchio film americano “Il grande freddo” ma a me è sembrato tutta un’altra cosa, non c’è spessore di problematiche, mi ha fatto piuttosto pensare al recente italiano “Immaturi – Il viaggio”, regia di Paolo Genovese, anche se questo francese è certamente migliore. Cmq io non mi sono annoiato, anche se era troppo lungo, la gestione della regia è abile e facilmente ci si affeziona ai personaggi e si vuol vedere come va a finire questa o quella storia, d’altronde non mi sono annoiato neanche a vedere “Immaturi” (forse è che la parte leggera, sentimentale e immatura di me è abbastanza consistente…). Il funerale finale era inutilmente lungo ma conduceva efficacemente alla commozione e mi ha provocato qualche discreta lacrimuccia, forse per il ricordo di qualche recente funerale cui purtroppo ho partecipato. Confesso poi che sono stato colpito dalla bellezza espressiva e dalla bravura di Marie (Marion Cotillard), con improvvisi sorrisi solari che squarciavano le nuvole di tristezza del viso, anche il suo personaggio era interessante e bella la relazione di profonda e comunicativa amicizia con Eric (se ricordo bene il nome).
Scusa Ugo, Immaturi – il Viaggio l’ho visto e quello sì l’ho trovato fastidioso. E non solo per gli stereotipi, ma anche per le modalità della commedia stile slapstick che sceglie, che fa virare il film verso un grottesco decisamente penoso. La risoluzione poi è di una banalità sconcertante. E ti parla una cui invece Immaturi, il primo film, era piaciuto. Niente a che vedere con la “verità” di Canet però.
Eppoi se dici che non ti ha annoiato,nonostante duri due ore e mezza, che la regia è abile e che hai amato il personaggio di Marie, perchè riassumi dicendo che è mediocre? Qual’è la parte mediocre?
Il titolo originale del film è “i piccoli mocciosi” (o credo si possa interpretare così visto che mouchoirs sono i fazzolettini da naso in carta) e funziona fino a quattro quinti: riesce ad essere un film convintecente su cosa siano, attualmente, amicizia e amore, su come si sia accentuata la componente individualista in ogni rapporto sentimentale, su come si abbia paura a uscire da se stessi, per affidarsi a qualcun altro o anche solo per mettersi alla prova davvero, e si sia, per converso, bravissimi e rapidi nel piangersi addosso. Purtroppo Canet non ha trovato un finale efficace sicché me ne resto orfana de “Il grande freddo” sia per ragioni filmiche che, e soprattutto, per la qualità umana dei protagonisti (anche se, di questo, Canet non ha responsabilità, lui ha dovuto lavorare su quanto la generazione di persone che racconta riesce ad offrire).