Mercoledi’ 27 giugno “Detachment” e’ stato protagonista dell’uscita degli Amicinema.
Come da buona abitudine apriamo lo spazio dedicato a tutti i commenti, critiche e spunti di discussione che vorrete lasciare sul film.
Dati Tecnici
Regia: Tony Kaye
Con: Adrien Brody, Marcia Gay Harden, James Caan, Lucy Liu e Tim Blake Nelson.
Durata: 97 min
Trama del film
“Henry Barthes è un supplente di scuola superiore che evita accuratamente tutte le connessioni emotive con studenti e colleghi, non trattenendo mai, più del necessario, nessuno dei suoi incarichi. È un’anima persa che deve fare i conti con un passato travagliato. Un giorno, però, Henry si ritrova assunto in una scuola pubblica dove un corpo studentesco apatico ha creato frustrazioni, in apparenza insormontabili, nel corpo docente. Diventando suo malgrado un modello per i suoi studenti e per una adolescente in fuga, Henry scopre di non essere il solo a cercare la bellezza in un mondo apparentemente vizioso e senza amore.”
Talmente emozionante è stata per me la visione di questo film, che ho avuto bisogno di un po’ di “detachment” emotivo per poterne parlare.
Da un certo punto di vista, Henry, il protagonista ha lo stesso background di Brandon, il protagonista di Shame: entrambi sono costretti al “distacco” emotivo per riuscire a sopravvivere al proprio dolore di vivere. Ma mentre Brandon coniuga il distacco in chiave narcisista, occupandosi solo del sè, Henry lo usa in modo altruistico, cercando di “fare la differenza” per chi ha bisogno di trovare la consapevolezza di sè, unico mezzo,secondo Henry, per affrontare la complessità del mondo.
E’ interessante che in entrambi i film il regista sia inglese, ossia provenga da una cultura che ha fatto del distacco dalle emozioni un valore fondante del vivere sociale.
Ed è anche interessante che in entrambi i casi il linguaggio cinematografico scelto dal regista rifletta la poetica del film. MC Queen realizza un film che somiglia a Brandon, estetizzante e freddo, che nulla concede allo spettatore. Tony Kaye invece crea un film quasi didascalico nella sua abbondanza verbale, che spiega nel dettaglio il suo senso, cercando di creare nello spettatore la consapevolezza, proprio come Henry.
Particolarmente geniale ho trovato la fine, ambigua nella sua dicotomia. Henry/Brody legge agli studenti in classe un brano da “La caduta della casa degli Usher” di Poe che descrive la casa in frantumi, specchio del loro stato d’animo. Le immagini della scuola in frantumi sono le immagini che la letteratura fa nascere nel cuore dei ragazzi che ascoltano Poe. Da una sconfitta Henry crea una vittoria: la letteratura descrive ciò che sentiamo e ci aiuta a comprenderci.
Ma la stessa scena può essere letta al rovescio: Henry immagina di leggere Poe ai ragazzi, in una scuola ancora integra, mentre in realtà ciò che è diventata è un insieme di banchi e finestre in frantumi.
Entrambe le interpretazioni sono possibili, dipende dall’anima dello spettatore propendere per l’una o per l’altra. Io non ho dubbi. Anche perchè l’abbraccio tra Henry ed Erica è forse un inizio anche per Henry.
Un film che scuote, che, come ad altri, anche a me non comunica l’idea di essere incentrato sulla scuola, sebbene gran parte dei personaggi si affatichi attorno al tema pedagogico e al grottesco cui si arriva in una scuola allo sbando. Poi, non so, sarà che il rimando alla società è così immediato, forse, che il distacco su cui si discute l’ho letto in termini di strumento di difesa di cui ognuno di noi cerca di armarsi per affrontare situazioni limite in ogni ambito. Sull’opportunità o sul successo che questo (il distacco) possa compiersi pongo seri dubbi e mi sembra che anche la storia del protagonista nel film possa dimostrarne l’inconcludenza. Qualche perplessità la nutro sulla sceneggiatura, come già detto da qualcuno, fin troppo carica, con il rischio forse di particolari che vengono lasciati in superficie, ma mi ha molto colpito l’uso della macchina da presa, il modo di girare le scene, la fotografia talvolta sgranata e l’espediente della lavagna. Li ho trovati ottimi strumenti per accompagnare un racconto non lieve e per ricostruire una storia sofferta. Particolari di cui fare a meno ce ne sono stati diversi sì e concordo sul ritenerli non così funzionali (per fortuna ci hanno risparmiato il gatto). Ci sono due sequenze che mi sono rimaste impresse e che per me sono costruite molto bene, sono brevi, ma sposano bene parole e immagini: una, quella in cui il prof. alienato, già ripreso in più occasioni “imbrigliato” ad una rete, si stupisce di essere visto, affermando di sentirsi sollevato; l’altra, quella in cui Barthes afferma di essere una non persona, la puoi vedere sì, ma guardi il vuoto..forse retorico? Ma qui non guasta.
Ci sono occhi cosi’ tristi che potrebbero trascinarti dentro nelle proprie profondità e ci sono situazioni che sai gia’ sono destinate a terminare inevitabilmente in una tragedia.
Quando questi due elementi si uniscono come in “Detachment” sai gia’ che il finale non potrà certo essere positivo e che un cuore generoso andrà oltre le proprie capacità di sopportazione.
Il film di Tony Kaye per me e’ un favoloso affresco esistenziale che ci racconta, ci suggerisce il cammino che ognuno di noi puo’ effettuare nella vita, i rischi che si possono correre ad aprirsi agli altri e ai loro problemi, le inevitabili delusioni che soffriremo. Soprattutto quelle che sai che sicuramente ti colpiranno, ma che, per indole o semplicemente per tua necessità, non sei in grado di evitare.
Sarà questo momento della mia vita, ma io ho trovato dei lampi di speranza in questo film… Brody riesce per pochi intensi momenti a sfiorare le vite delle persone e a lasciare un seme, una piccola idea, una speranza che possa esistere qualcosa di piu’ grande nella letteratura, nel pensiero delle altre persone, nella vita… la speranza che possano esistere persone che ti comprendono e per le quali tu sei piu’ di quello che appari.
E’ gia’ un risultato grande per me che vale la pena tentare come fa lui… anche se tutto finirà con animo desolato come una scuola fatiscente e abbandonata a se stessa….
Uno dei più bei film della stagione per me, insieme a Shame e a This must be the place….
Il film trasuda dolore fin dal primo fotogramma negli occhi persi, espressivi e bellissimi di Adrien Brody. Molti argomenti vengono toccati qui attraverso la storia di Henry che va a fare il supplente in una scuola di ragazzi difficili: l’educazione, la carenza della famiglia, la mancanza di valori, la difficoltà di attraversare i dolori della vita, l’indifferenza a cui ormai ci stiamo abituando….Questo insegnante ha imparato il ‘distacco’ per sopravvivere ad un trauma infantile, ma in realtà solo in apparenza, perchè poi cerca di aiutare tutti senza riuscire a farlo con se stesso e piange sui bus, solo e in cammino. Una serie di incontri lo porteranno a migliorarsi e a far luce anche dentro di sè. Anche i vari altri insegnanti sono fantastici, ognuno con un suo background di sopravvivenza.
Bellissima la lavagna che è l’altra protagonista del film, dove i gessetti scrivono e cancellano la vita con la velocità e la semplicità che a noi umani non sono concesse. Belli i diari regalati, scritti, scambiati, dove poter manifestare una parte complessa di sè.
Bellissimi alcuni dialoghi che non posso qui riportare per intero, ma ad esempio un ‘per provare interesse nella vita ci vuole coraggio…’. Il succo del film però è un messaggio d’amore: ciò che ci serve è essenzialmente CONTARE PER QUALCUNO, essere amati, ognuno a modo nostro con le nostre qualità, uscire dal buio e dal vuoto dell’indifferenza e della superficialità. Che dire? Uno di quei film che restano dentro, che consiglio a tutti e che entrarà sicuramente nella mia DVDteca!!
Ho apprezzato moltissimo questo film, non solo per i contenuti, ma anche per lo stile registico….Kaye propone un affresco surreale, crudo e provvocatorio del disagio sociale e psicologico che investe la società americana, mescolando magistralmente forme espressive diverse..alla potenza espressiva delle inquadrature dei volti (primo tra tutti quello del protagonista) si alterna il ricorso ad immagini pittoriche dai colori volutamente marcati, a fotografie in bianco e nero, a sequenze oniriche, a disegni animati…apprezzabilissima anche la colonna sonora, in particolare il brano che chiude il film..l’emblematico “Empty”
Mi è piaciuto molto questo film, la scuola allo sbando, una società che punta sull’immagine.
Mi è piaciuto molto il discorso fatto da Henry Barthes agli studenti per fargli capire che la cultura, l’istruzione li salverà dalle false verità, che vengono calate dall’alto dai mass media.
non ho trovato che fosse un film sulla scuola…bensì sulla società..un tipo di società, più vicina alla nostra di quanto possa sembrare, nonostante quei linguaggi e quelle violenze ci risultino intollerabili..il distacco da se stessi come unica chance di sopravvivenza al dolore non vuol dire distacco dal mondo, come nella citazione iniziale di camus, distaccato da me, e mai tanto dentro il mondo…ungaretti, accanto al soldato e compagno morto scrive: non sono mai stato tanto attaccato alla vita…
e il nostro disarmante adrien brody, nel cui sguardo tutti vorremmo una volta riversare le nostre pene, ce l’ha un con-tatto, un momento in cui il de va a farsi benedire e resta il tachement, il tatto, nell’abbraccio con erica. non siamo senza speranza allora, la lettura ci salverà, la libertà del pensiero, e la scelta etica del bene dell’altro e del bene comune…
Il film non mi è dispiaciuto per i contenuti ma ho trovato in certi punti veramente fastidioso lo stile del regista. Qualcuno potrebbe dire composito ma a me è sembrato un insieme di stili che tra loro alla fine si armonizzano poco e male. Per non parlare poi del dettaglio della gonorrea che ce lo poteva francamente risparmiare.
Il distacco è quello che occorre al Prof. Barthes per affrontare gli studenti di una scuola dove il disagio è evidente, si tocca con mano e con il cuore ancora rimasto, dove la rabbia e la sfiducia è dilagante. Rabbia e sfiducia verso una società senza valori, indifferente, a partire dai genitori, oppure cultrice dell’ apparenza, e dove il valore profondo del crescere pensando con la propria testa soprattutto per riflettere su se stessi e sul proprio futuro, è qualcosa di sfuggente, inutile e inutilmente perseguito da un manipolo di docenti che ancora un po’ ci crede, che si sforzano nell’arte del distacco, ma che poi cedono allo sconforto e vivono sui loro nervi, tesi o rilassati artificialmente, il dramma dei ragazzi e delle loro stesse vite.
Ma seppur ribadito nell’incontro iniziale con gli studenti che lo affrontano a muso duro, non è il distacco che permette al Prof. Barthes di accarezzare l’animo sofferente dei ragazzi, di Meredith, di Erica.
E’ proprio il contatto tra il suo e il loro dolore, l’empatia derivata da un vissuto tragico, e la stessa rabbia che anche lui aveva e che si porta dentro, che gli permette di toccare le corde giuste per entrare nel loro cuore.
Ma il film non è falso e ottimista, c’è qualche piccolo successo e un grande fallimento, perché si è soli, perché le corde della crescita personale quando tutto intorno è bacato, sono fragili e si possono spezzare, e muoversi nel groviglio di sentimenti di chi si sente sottovalutato, solo, senza corazza, senza pelle, non è facile e il rischio è alto perché tutto sbilanciato.
E tra una lezione di vita e una scolastica, il Prof. Barthes chiude il suo temporaneo compito, qualche vita si è ritrovata, un’altra è andata perduta e la scuola rimane il desolate paesaggio di carta inutile, di foglie cadute, di solitudine, che era con e senza di lui.
Solo il sorriso di Erica, nell’abbraccio con il Prof. infonde un piccolo barlume di speranza.
Il film è bello, Adrien Brody grande nel suo sguardo sofferto, nel volto tirato, affilato, nel gioco ben reso di distacco e accarezzamento con la semplice espressione del viso, di un sorriso.
Bravi anche gli altri attori, da un James Caan, vecchio professore disilluso ma che non si lascia andare, a Lucy Liu che riesce a rendere bene la rabbia e lo sconforto, all’intensità dei ragazzi e delle due giovani protagoniste Sami Gayle e Betty Kaye.
Bella la regia che riesce a dare la giusta misura al senso di disfacimento, al dolore, alla speranza, all’indifferenza, alla lotta quotidiana dei docenti, al collegamento con la realtà.
Per chi, come me, è rimasto ammaliato dal pianoforte della colonna sonora di Detachment, l’autore è Taylor Eigsti.
Non ho, purtroppo, trovato online suoi pezzi della soundtrack!
L’ho trovato un bellissimo film, che non si accontenta di raccontare la storia del protagonista, ma che si ramifica verso vari personaggi creando un tessuto narrativo che porta a raggiungere l’iobiettivo principale, quello di raccontare lo stato e la disaffezione di alunni ed insegnanti verso il sistema educativo in cui si trovano.
Molto apprezzabile lo stile pseudodocumentale,a partire dalla sequenza iniziale dei professori che si raccontano, del protagonista che parla di sè stesso come se si rivolgesse ad un interlocutore invisibile, fino all’espediente grafico della lavagna che interrompe a volte le sequenze. Splendida la interpretazione di Brody, che è comunque sempre supportato da un validissimo cast.
Un film che a mio avviso cerca ocn successo di stimolare la riflessione e le emozioni dello spettatore, anche attraverso l’uso di immagini violente e sgradevoli che però ben rendono l’idea di quel “detachment” , che è il distacco dei giovani dalla situazione scolastica che vivono, in primo luogo, quello dei genitori rispetto ai disagi dei propri figli, quello , necessario, dei docenti per “potere sopravvivere” in mezzo a tutto questo.