La guerra è dichiarata

Mercoledi’ 4 luglio “La guerra è dichiarata” e’ stato protagonista dell’uscita degli Amicinema.

Come da buona abitudine apriamo lo spazio dedicato a tutti i commenti, critiche e spunti di discussione che vorrete lasciare sul film.

 

Dati Tecnici
Regia: Valérie Donzelli
Con: Valérie Donzelli, Jérémie Elkaïm, César Desseix e Gabriel Elkaïm.
Durata: 100 min

 

Trama del film
“Una coppia, Romeo e Giulietta. Un figlio, Adamo. Una malattia, una battaglia. E soprattutto, una grande storia d’amore: la loro.”

 

Trailer
http://www.youtube.com/?watch?v=MXP_CQqUGh4

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  1. Stefano Chiesa scrive:

    Cosa puo’ spingere una coppia a rivivere uno dei momenti piu’ terribili ed angosciosi della propria esistenza ?
    Questo e’ quello che mi sono chiesto quando ho letto la trama di questo film.
    Ho pensato che lo scopo fosse sicuramente terapeutico per Valérie Donzelli e il suo ex-compagno anche se un poco inquietante mostrare al pubblico le proprie intimità.
    Dopo aver visto il film penso invece che la necessità ultima di questa pellicola sia quella di lanciare un forte messaggio: con l’amore, la forza d’animo e la speranza si possono vincere anche anche le avversità piu’ grandi.
    Detto cosi’ suona come un banale mantra new age, ma se guarderete il film tutto magicamente avrà un senso compiuto e sarà impossibile non emozionarsi davanti a questa grandissima storia d’amore (verso il figlio e tra Romeo e Giulietta).
    La paura di mostrarsi e un possibile esibizionismo del dolore vengono spazzate via dalla forza e dalla vitalità dei due personaggi e si puo’ dire davvero che questa e’ un’opera che era necessario realizzare e diffondere.
    Le musiche gioiose, a volte intense e i colori cosi’ vivi e cosi’ accesi contribuiscono a fare di “La guerra è dichiarata” un film che ti fa uscire dalla sala stremato, ma pieno di calore umano.
    E questa e’ la canzone d’amore che Valérie e Jérémie si cantano… http://www.youtube.com/watch?v=NbwsIp1mDTs

  2. Il bello degli amici del cinema è che mi spiegano quel che io non capisco – o, almeno, fanno del loro meglio -: commentare dopo la visione e leggere le recensioni altrui mi è utilissimo. Ma i due protagonisti sono proprio loro, cioè loro-loro? Sì, sono proprio loro-loro. E il bel bambino di otto anni che si vede nel finale è proprio lui, il loro bambino, il protagonista, il frutto del loro amore (almeno due volte), ma anche quello dell’amore dei medici, della loro scienza, di quello dei nonni etc etc.? Sì, è proprio lui.
    Ieri sera, all’uscita, Cristina mi ha dato una prospettiva illuminante sulla storia.
    Qualche riflessione personale: intanto sulla stolidità delle presentazioni e delle prerecensioni ufficiali. Sempre ingannevoli, al limite della malafede. In questo caso come in quasi tutti gli altri. A leggere queste, ho creduto di andare a vedere una commedia spensierata e umoristica. Il film è tecnicamente una commedia: c’è una sfida che viene vinta. Ma ha un contenuto e anche una narrazione profondamente tragiche. Una scena su tutte: quando i due genitori escono a dare la notizia della “buona riuscita dell’operazione” (che è la classica “frase fatta”) e si accordano per enfatizzare la propria gioia, la madre sviene…
    Inserendo il film nel contesto delle visioni precedentemente proposte dagli Amicinema: l’Occidente sta vivendo un momento di crisi. So che è una rivelazione.
    Il fatto è che questa crisi permette e autorizza una maggiore profondità di pensiero e di analisi anche e soprattutto delle vite “normali” . E questo lo considero molto positivo, fruttuoso e, appunto, vitale.

    In libreria quest’anno hanno spopolato le storie di crisi e di drammi personali rigorosamente autobiografici: penso al bestseller di Gramellini, al libro di Veronica Pivetti “Ho smesso di piangere”, alla storia della sua anoressia (e altro) di Michela Marzano in “Volevo essere una farfalla” e, nel tema della disabilità dei figli, “Zigulì” di Massimiliano Verga e “Se ti abbraccio non aver paura” di Fulvio Ervas e Franco Antonello.

    Di sicuro è una tendenza che assume quasi gli aspetti della moda.

    La trovo una tendenza importante, che, a me personalmente, fa un gran bene…

    Questo, come altri film francesi, ci mostra una realtà tanto simile alla nostra, anche nelle immagini.

    Mi ha colpito, per il suo realismo (e per essermici ritrovata), il panorama al di fuori dell’ospedale nelle scene in cui i due andavano fuori a fumare. Ma che squallore! Che cos’erano queigli orridi silos di cemento?
    Quanta somiglianza con i nostri panorami analoghi in contesti analoghi. Ma perché cavolo quando vado in una struttura di eccellenza devo pagare il dazio di tanta desolazione estetica?

    E poi, a proposito di eccellenza, quella di chi opera nella sanità, in questi nostri paesi ancora ricchi e ancora civili, malgrado tutto.

    Se si tratta di guardare il bicchiere mezzo pieno (vero messaggio della storia e dei protagonisti), quando ci si lamenta della decadenza del nostro mondo, di quanto sarebbe bello un altrove e un diverso, credo sarebbe bene porre l’attenzione sulla serie di strumenti che questo nostro mondo, qui e ora, è in grado di metterci a disposizione, seppure in mezzo a tante contraddizioni.

    E’ tutto questo che va tutelato, esattamente come la vita di quel bambino piccolo piccolo che per un momento è stato minacciata da un cancro, è in un organo e in una posizione così “simbolici”.

    Concordo con Cristina: “Il messaggio del film è un messaggio di forza, di vitalità, di coraggio, di determinazione che rimane dentro anche all’uscita dal cinema…”

  3. Cristina Bellosio scrive:

    Nella visione di questo film accade un fatto straordinario e inatteso….di fronte alla tragedia della morte non ci sono lo sconforto, la disperazione e la perdita di speranza, ma il coraggio, la determinazione, la volontà di combattere e soprattutto di vivere…La storia narrata è la storia vera, autobiografica che ha coinvolto in prima persona i due attori protagonisti e il loro bambino…come in molte storie dove non c’è finzione ci sono vittorie ( la guarigione del bambino) e inevitabili sconfitte ( la relazione di amore dei protagonisti che si frantuma, consumata da questa dolorosa vicenda)….MI piace pensare che questa vicenda profondamente vera dia risalto al senso laico della vita….anche dove, come in questo caso, non c’è una fede religiosa, c’è una determinazione forte e potente a vivere e a donare la propria vita a chi si ama…Il messaggio del film è un messaggio di forza, di vitalità, di coraggio, di determinazione che rimane dentro anche all’uscita dal cinema…

    • Paola Dobelli scrive:

      L’aggettivo che più calza il mio personale vissuto durante la proiezione del film è “faticoso”, nel senso di fatica fisica ed emotiva per sopportare quegli occhi fondenti e l’inconsapevolezza del bimbo della sua malattia. Gli adulti hanno strumenti per capire, cosa passa nella testa di un bimbo malato sottoposto a cure invasive è per me un mistero doloroso. E’ disarmante pensare che di realtà come queste, magari meno a lieto fine, esistono a migliaia. Apprezzo il fatto che i due genitori abbiano raccontato la loro vicenda sperando, o m’illudo? – che non fosse per mera strategia commerciale, nel tentativo benevolo di lanciare un messaggio di speranza, o almeno testimonianza che anche in certe situazioni ce la si può fare. La frase “perché a noi?” e la risposta “perché noi ce la possiamo fare” è illuminante e rassicurante, credo laicamente nella potenzialità dell’essere umano di sopportare l’insopportabile. Ammetto che la scena iniziale era di per sé già lenitiva rispetto al racconto che ne seguiva, noi spettatori sapevamo già in partenza che il bambino almeno fino a una certa età sarebbe arrivato. Mi chiedo se nella realtà ci siano persone che, prive di istruzione, di una cerchia familiare di supporto e amici, di soldi, o che vivono in civiltà meno attrezzate tecnicamente possano farcela. Probabilmente si fanno forti di altri valori o strumenti, chi lo sa. Noi siamo dei privilegiati. Forse la nostra civiltà presenta molti vantaggi per le cure disponibili, anche a livello pubblico, cosa non da poco, ma meno preparata ad accettare le sconfitte, o la caducità del nostro essere finito. Capisco anche il distacco dei genitori l’uno dall’altro. L’attaccamento reciproco dev’essere stato utile e indispensabile, ma viene meno quando il risultato è raggiunto, e forse per evitare di incrostare il futuro di dolori passati, una separazione probabilmente diventa inevitabile. Mah. Un film che ha rimestato molti sentimenti,

  4. marco carini scrive:

    Quello che mi ha più colpito è che il tono del film potrebbe essere quasi quello di una commedia. Nonostante il dramma, il film non cerca le lacrime ma si concentra sulla lotta dei due protagononisti contro il tumore del figlio. Troppo bella la scena che vede i due protagonisti esorcizzare l’eventuale esito negativo dell’operazione. Peccato che i due protagonisti si lascino senza riuscire reggere il peso della situazione. Erano perfetti uno per l’altro. Ma il cinema non era l’arte dell’illusione?

    • Cristina Bellosio scrive:

      Il cinema sì, certo, è fatto per creare illusioni…ma questo film è pur sempre la trasposizione di una storia vera, il cui epilogo è quello narrato…

    • Stefano Chiesa scrive:

      Marco il film non ti ha fatto illudere per oltre 100 minuti che l’amore e la forza d’animo possano sconfiggere qualsiasi nemico ?

      • Cristina Ruggieri scrive:

        E aggiungo Marco: l’amore tra i due protagonisti non viene meno, semplicemente si trasforma sotto il peso della vicenda dolorosa che sono costretti a vivere. Ed è proprio perchè amano entrambi la vita nella sua pienezza che si lasciano: quella pienezza non sono più in grado di viverla assieme.

  5. Elena Costa scrive:

    Non è cosa semplice trattare un tema così complesso, come quello di un tumore al cervello in un neonato, senza cadere nel patetico, nel melenso. Ebbene la Donzelli ci riesce pienamente, regalandoci un film, per altro autobiografico, in cui il dramma, le reazioni, il dolore, la lotta, prendono un ritmo incalzante rappresentando a volte le emozioni e la sofferenza con musiche o canzoni bellissime e prepotenti o con corse sfrenate di corpi o telecamera impazzita, così come si sentono i personaggi di fronte ad un destino crudele ed inspiegabile, inatteso. Per buona parte del film si è presi e partecipi, poi forse cade un po’ il ritmo, ma potrebbe anche essere voluta questa cosa per entrare nella routine dei personaggi che seguono loro figlio nelle terapie di cura al tumore e nella loro dolorosa speranza. Decisamente un film geniale anche se si esce col cuore e la mente gonfi di pensieri esistenziali…

  6. Pietro Diomede scrive:

    Il dolore può essere elaborato in tanti modi, Valerie Donzelli e Jeramie Elkaim hanno deciso di prenderlo di petto facendo un film sulla loro esperienza che li ha fatti crescere come coppia, come genitori e come esseri umani.
    Fin dalla scelta dei nomi dei protagonisti (Romeo e Juliette) l’intento è far capire che il loro è un grande amore in un contesto fortemente tragico come ricorda il Romeo il giorno che si sono incontrati per la prima volta con il classico colpo di fulmine…..un grande amore che porta alla nascita di Adam (come il primo uomo).
    Purtroppo il piccolo Adam ha un tumore al cervello e “La guerra è dichiarata” è la rappresentazione dei cinque anni di calvario che hanno attraversato i due protagonisti.
    Rispetto a tutti i Cancer Movie visti al cinema questo film non cerca assolutamente la lacrima facile, è decisamente un film di pancia….. il dolore lo si urla, lo si prende a calci e pugni come nella scena della rivelazione a Romeo e la telecamera non si sofferma sui primi piani del viso ma insegue come una scheggia impazzita le fughe di una mamma disperata ma non arrendevole.
    Nonostante di parli di cancro, “La guerra è dichiarata” è un film sulla positività della vita….sul bicchiere mezzo pieno…sulla forza dell’amore (bellissima la canzone cantata dai due protagonisti nel viaggio per Marsiglia) e tenendo lontani i facili patetismi (come nella scena della banca).
    E’ un film d’introspezione ottimamente rivissuto dai protagonisti interpretato come fossero attori da Actor’s Studio che lancia un grande messaggio di positività come si può vedere nell’intenso ma non melenso finale

    Voto 8

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