Mercoledi’ 11 luglio “The way back” e’ stato protagonista dell’uscita degli Amicinema.
Come da buona abitudine apriamo lo spazio dedicato a tutti i commenti, critiche e spunti di discussione che vorrete lasciare sul film.
Dati Tecnici
Regia: Peter Weir
Con: Colin Farrell, Mark Strong, Saoirse Ronan, Ed Harris
Durata: 133 min
Trama del film
“1939. Un tenente dell’esercito polacco viene accusato di spionaggio e condannato a 25 anni di lavori forzati presso un gulag siberiano. Dopo un periodo di prigionia, assieme a sei carcerati, organizza l’evasione dal gulag. Così nel 1941 assieme ai compagni si avventura in una disperata fuga, percorrendo migliaia di chilometri, attraversando la ferrovia transiberiana e il deserto del Gobi e patendo fame, gelo e malattie, fino ad arrivare in India nel 1942.”
Trailer
Mercoledì scorso ho potuto vedere questo bellissimo film con alcuni membri del gruppo. Mi è piaciuto moltissimo e devo dire che la scelta di recarmi al cinema è stata dettata in parte dalla quasi certezza che potesse essere un bel film dato che il regista è lo stesso de “L’attimo fuggente”. Credo che la storia rispecchi bene il terribile periodo storico e tutta la malvagità che lo ha caratterizzato.
Non sono mai riuscita a terminare un libro sulla guerra, tipo quelli di Rigoni Stern, perchè la descrizione di ciò che hanno patito soldati e prigionieri mi faceva desistere.
Con questo film ho avuto conferma degli orrori dei regimi fascisti e comunisti, credo che il film rispecchi proprio la realtà. Il film fa vedere però, grazie alla grande sensibilità del regista, come l’essere umano buono possa sopravvivere alle più dure realtà se si lega ad altri e non dimentica i valori umani essenziali.
Di questo regista avevo visto il bellissimo: “L’attimo fuggente”, mi interessava la storia del film dato che ho avuto la fortuna di conoscere persone, che sono state recluse in campi di concentramento, vedendo alcune scene all’inizio nel gulag, mi ritornavano alla mente alcuni racconti fatti da questi ex deportati (la lotta per la sopavvivenza, i pidocchi). Tra gli attori mi è piaciuto Ed Harris.
A me è piaciuto molto. Dalla Siberia all’India in fuga dal “compagno” Stalin… Come non romanzare situazioni tanto dure e drammatiche? Probabilmente è l’unico modo per fare arrivare il film al grande pubblico. Mi ha ricordato quel poco che mi è stato raccontato da mio papà “in fuga” da un campo di lavoro nazista dopo l’arrivo degli alleati. “‘Hitler kaputt’ sono state le prime parole pronunciate da quei bravi ragazzi americani” mi disse una volta. E poi in marcia dal Brandeburgo verso l’Italia, attraversando fiumi senza sapere nuotare, attaccandosi a un tronco per non annegare… mi è sembrato tutto molto simile. E so anche che i suoi compagni “d’avventura” non li ha più rivisti. Probabilmente bisognerebbe avere provato di persona per sapere quali legami si possano instaurare nel corso di esperienze così tristi. Forse si desidera solo salvare la pelle e tornare a casa.
C’è un merito in questo film, che nel complesso non mi ha entusiasmato, quello di aver mostrato, una delle rare volte al cinema, l’altra faccia della medaglia di quei sovietici osannati liberatori dei detenuti dei campi di concentramento nazisti, l’aver mostrato i loro campi di concentramento, i gulag, dove ci si arrivava per un nonnulla e si moriva di stenti, di lavoro impossibile, di vere e proprie esecuzioni.
Ed è da qui che il film parte, a singhiozzo, con una veloce e superficiale carrellata sui personaggi, tratteggiati giusto il necessario e senza alcun approfondimento, per creare il gruppo della fuga.
Si capisce a malapena lo sfortunato, l’idealista, il cattivo, il codardo, il misterioso, l’artista e l’uomo di fede tormentato. E si parte per la grande fuga, tra dialoghi che dovrebbero svelare a poco a poco i personaggi ma che risultano spesso banali e superflui.
Occorre l’arrivo della curiosa ragazzetta per farci capire qualcosa di più di loro, a riferire e diffondere le confidenze personali nel gruppo, in un modo degno più da compagni in gita scolastica che da compagni di un’avventura drammatica e sofferta come quella di attraversare l’interminabile steppa e l’altrettanto interminabile deserto tra il freddo, la fame, la terribile sete, la morte, e qualche breve guizzo interessante come la forza della gentilezza e dell’altruismo.
Occorre aspettare la fine del film per emozionarmi un po’, quando la fine di una fuga drammatica, lunga dalla Siberia all’India non è che l’inizio e il cammino del protagonista nel dramma vissuto dal suo paese, la Polonia, a cui non è bastata la fine della guerra per liberarsi dall’oppressione russa, pare senza fine.
Ma alla fine, non importa quanto tempo sia occorso, lo scopo è raggiunto, si torna a casa in un paese libero, per liberare dal senso di colpa chi si ama! Ma sono passati ben 50 anni!!
Da Peter Weir , dalla sua accuratezza nel delineare i personaggi come in Witness, dalla sua classe ne L’Attimo Fuggente e dal suo genio di The Truman Show, mi sarei aspettato un film molto più interessante, e invece ho trovato un film abbastanza noioso, un po’ superficiale e a tratti ingenuo.
Molto dura la prima parte nella vita di un Gulag negli anni ’40 e poi la lunga marcia di uomini che non hanno nulla da perdere e tentano la fuga verso la libertà. Con loro durante il film, che ci regala una splendida fotografia appoggiata anche dal National Geographic, si sentono la fame, la sete, la fatica, la speranza. L’istinto di sopravvivenza e una legge darwiniana inevitabile, fra angoscia, compassione, coraggio attraverso Siberia, Mongolia, Cina, Tibet, India….Fino ad arrivare ad una scena per me fantastica, dove pezzi di filmati storici in b/n vengono calpestati dal passo speranzoso di un uomo…Un uomo che cammina sulla storia ma che anche con la sua scelta la calpesta…A me Weir piace molto, di lui cito solo L’attimo fuggente, Master&Commander che bastano a definirlo.