Amour

Martedì 30 ottobre “Amour” e’ stato protagonista dell’uscita degli Amicinema.

Come da buona abitudine apriamo lo spazio dedicato a tutti i commenti, critiche e spunti di discussione che vorrete lasciare sul film.

 

Dati Tecnici
Regia: Michael Haneke
Con: Isabelle Huppert, Jean-Louis Trintignant e Emmanuelle Riva.
Durata: 105 min

 

Trama del film
“Georges e Anne sono due insegnanti di musica in pensione. La figlia della coppia, anch’essa una musicista, vive all’estero con la famiglia. Un giorno, Anne viene colpita da un ictus.”

 

Trailer
http://www.youtube.com/watch?v=zSQmUSk1Q5U

Questa voce e' stata pubblicata in Film e contrassegnata con , , .
  1. Elisabetta La Monica scrive:

    Bellissimo ed intenso questo film, dal quale però ho dovuto distaccarmi parecchio prima di poter esprimere un lucido giudizio. La trama è ai + già nota ma la mirabile bravura del regista sta, nel andare aldilà del racconto dei fatti. Nel trascendere quella realtà che nell’intimo riguarda ognuno di noi e nel far coincidere la realtà scenica con la realtà di vita. E’ impossibile non immedesimarsi. Tu vivi insieme ai protagonisti, li senti vicini cerchi le ragioni un po’ dell’uno un po’ dell’altra. Cerchi di capire se sia + giusto lasciar sopravvivere la vita o assumersi la responsabilità di un gesto che inequivocabilmente le pone fine… Haneke come nessuno, credo, riesce a porci davanti a questi quesiti, queste intime domande che sanno fare la differenza fra un grande film … e tutto il resto.

  2. Cristina Ruggieri scrive:

    Si potrebbe chiamare cinema della realtà quello di Haneke. La realtà al di là del velo delle illusioni, delle false speranze, dei miti, dei racconti e delle metafore. In Amour è anche la realtà cinematografica depurata da tutti gli artifici narrativi cui il cinema ci abituato: flashback, carrelli, zoom sono assenti. Noi spettatori vediamo le scene esattamente come se fossimo presenti all’interno della casa in cui si svolge l’azione. Una casa che contiene l’anima dei protagonisti, la loro storia, il loro senso e anche, naturalmente i loro corpi che vediamo agire. Perchè gli esseri umani sono corpo e anima, e amare significa amare entrambi. Haneke con tutta la spietatezza che lo contraddistingue ci mostra che non è la morte il momento in cui anima e corpo si separano. Perchè l’anima a volte muore prima, quando il ricordo di ciò che si è perduto diventa insostenibile e il presente un peso senza futuro. Nel film l’anima di Anne comincia a morire quando non riesce più ad ascoltare la musica. E muore definitivamente quando non riesce più a controllare il corpo che diventa qualunque, puro ricettacolo di bisogni. “Non è più lei” dice la figlia, “non le dia peso, fanno tutti così”, dice l’infermiera. Che senso ha allora la vita di un corpo vuoto ridotto a involucro dolorante? Gli occhi dell’amore non possono sopportare una simile violazione dell’essere. E noi spettatori non ossiamo che essere d’accordo. La forza di questa conclusione è tale che nessuna associazione cattolica ha osato sollevare obiezioni al film. Un risultato di portata storica.

    • Annafranca Geusa scrive:

      Concordo pienamente con il tuo commento, Cristina! Questo film è terribilmente realistico nell’evoluzione di questa storia d’amore, profonda e complice fino alla fine, nell’evoluzione del decadimento del corpo e dell’anima che si spegne con esso e nelle sensazioni di ognuno dei protagonisti, interpretati in maniera grandiosa. Per varie ragioni l’ho sentito intensamente nel mio animo proprio per la forza di questo realismo.
      Dell’eutanasia come atto d’amore e di dignità se ne discute tanto ma è ancora difficile accettarlo ed è quando ci si scontra con la realtà che lo si comprende pienamente in quella dolorosa lotta con i dubbi morali ed etici.

    • Daniela Lazzara scrive:

      condivido in pieno, il film è piaciuto moltissimo anche a me.. solo un piccolo appunto sul fatto che nessuna associazione cattolica abbia espresso condanne o obiezioni al film. E’ vero, hai ragione, ma glisserei sul fatto che questo sia particolarmente significativo del valore del film.. ultimamente i cattolici (italiani,almeno) non si indignano neppure per i fondi azzerati per i malati di SLA. Io, cattolica, ho molto apprezzato il film proprio per il realismo e per come lascia entrare lo spettatore in quella casa rendendolo partecipe di una vicenda così intima e così comune.. per me assoluta sospensione di giudizio sulla conclusione.

    • Trovo originale e anche pericoloso che il valore – etico ed estetico – di un’opera sia confermato o sconfermato dalle eventuali obiezioni di qualsivoglia associazione. Tra l’altro mi pare che questo film parli di molte cose ma non certo di eutanasia.

      • Annafranca Geusa scrive:

        Non sono d’accordo, Ilaria, credo che l’”amour” di cui parli Haneke, seppur senza voler fornire alcun giudizio in merito o una posizione, sia proprio quell’atto finale. Se ne parla molto più che in tanti dibattiti su casi reali perché, a mio avviso, si entra nei sentimenti e nel loro evolversi verso quella scelta.

        • Annafranca, credo anch’io che quell’atto – ma non solo – è amour. E nella mia interpretazione non è nemmeno l’atto finale quello, è un gesto d’amore come molti altri. Secondo me il finale è ancora oltre (anche nel film, che infatti si chiude dopo). Personalmente non credo che tutto ciò abbia nulla a che fare con l’eutanasia (che è una costruzione contemporanea della mente) tantomeno con vari dibattiti sociologici, politici, legali e bioetici.

  3. Pietro Diomede scrive:

    Nessun suono, nessun rumore, niente musica così inizia il vincitore dell’ultima Palma d’Oro di Cannes quasi a voler dire….Silenzio gira Haneke…..e poi d’improvviso si sfonda la porta della nostra coscienza e ci tuffiamo immediatamente nel dramma.
    L’Amour che da il titolo al film è quello tra due insegnanti di musica Anne e Georges ormai ottantenni che un ictus mette a dura prova.
    La malattia improvvisa della moglie costringe il marito ad accudire con un amore senza remore la compagna di una vita, un’ amore così grande fatto di promesse da mantenere ad ogni costo, fatto di racconti di un passato lontano, fatto di filastrocche da cantare in tutti modi…..
    Haneke si piazza nelle mure domestiche dei protagonisti…..li segue….li osserva….niente pietismi solo la dura quotidianità che viene riservata ai monumentali Jean-Louis Trintignant ed Emanulle Riva.
    Qualcuno si chiede se il duro regista austriaco si è ammorbidito…..assolutamente no….il suo cinema senza sconti è presente con il suo occhio che segue la degenerazione di questa malattia come la scena della doccia o quella forte e improvvisa dello schiaffo talmente intensa che sembra che sia lo spettatore a riceverlo fino allo struggente finale….
    E alla fine ti senti come Isabelle Huppert….solo, in un surreale silenzio a cercare di capire cosa sia successo…..anche a te.
    Di una cosa è certa la Palma d’Oro non è il premio giusto per Amour (non fraintendetemi il film è di un’intensità magnifica) perché premiare il film risulta limitativo per le mostruose interpretazioni di Trintignant e Riva…..loro non sono gli attori dl film, loro sono il film…..lo vivono, lo sentono, lo soffrono e lo amano amandosi…..visto che la regola del Festival impedisce la concentrazione dei premi….io non avrei avuto dubbi tra il film e gli attori io avrei scelto quest’ultimi.
    Voto 9

    • Cristina Bellosio scrive:

      Sono d’accordo Pietro, gli attori sono un grande punto di forza di questo film…

    • Cristina Ruggieri scrive:

      Gli attori sono bravissimi. Ma sono le scelte registiche di Haneke che permettono loro di esprimersi così. Una per tutte: la mancanza di flashback. Tutto viene raccontato attraverso le espressioni del viso di Trintignant e Riva. Ma è una scelta di Haneke!

  4. Stefania Chines scrive:

    Due grandi attori per un grande film, che affronta la fine di un’esistenza con crudezza e realismo. Una coppia di anziani concludono la loro vita con il peggiore degli incubi. Una vita, la loro, che era stata intensa e ricca di soddisfazioni, senza problemi economici e di salute, e che invece finisce nel dolore e nella disperazione. Il sonno eterno è raggiunto attraverso la sofferenza.
    Un tema, la morte, sempre arduo da affrontare. Ma Haneke ci riesce magistralmemte. Parlando d’amore.

  5. Guarda caso.

    http://27esimaora.corriere.it/articolo/ma-lamore-fino-alla-fine-e-possibile/

    Trovo molto condivisibile l’articolo e la sua chiusa, azzeccatissima per come io ho interpretato il film:

    «Bisognerebbe provare a essere felici, se non altro per dare il buon esempio».

    • Cristina Ruggieri scrive:

      Su molte cose scritte nell’articolo non sono d’accordo. Non è vero che se ne vanno i pudori. Anzi. Infatti Anne non vuole parlare della sua malattia nè con georges nè con gli altri e fino a quando può minimizza. E quando si rende conto che non ha speranza, non c’è amore che tenga. La compassione di Georges non la vuole, lo dice chiaramente.

      E anche la conclusione è talmente forte che non è possibile, guardando il film, non condividerla.

  6. Stefano Chiesa scrive:

    Per me Michael Haneke non sbaglia mai un film. E anche con Amour firma un capolavoro, per me il miglior film della stagione fino ad ora.
    E’ un regista crudele l’austriaco, impietoso nel togliere ogni velo di conformismo e ogni luogo comune da tutti i tempi che affronta, che sia il male, l’inquietudine dell’animo, la vecchiaia.
    Non c’e’ speranza nei suoi film, solo una osservazione attenta e acuta della realtà… e’ come se fosse un entomologo dell’anima, guardata al microscopio senza troppi sentimentalismi, ma scientificamente.
    E’ un approcio che ovviamente puo’ non piacere perche’ non crea immedesimazione nel tema e nei personaggi, ma da cinefilo posso dire che guardare un suo film e’ una esperienza che ti mette si a dura prova, ma che ti regala quei brividi che pochi altri autori possono fare.
    Anche in Amour Haneke esprime la sua concezione di cinema: telecamere quasi immobili sui volti dei personaggi, ritmi lenti intervallati pero’ da momenti quasi onirici (il piccione), poca musica e molti silenzi, vuoti nelle stanze e vuoti che si fanno largo nel cuore di Trintignant e Riva.
    La vecchiaia e’ cosi’ a volte, tolti i fronzoli romantici, le edulcoratezze raccontate ai figli, rimane il disfacimento fisico, il dolore sottile e continuo, la frustrazione di non poter piu’ cambiare la propria vita e assisterne alla lenta fine.
    Il tutto raccontato senza nessuna pornografica del dolore, senza lacrime, senza sangue o incontinenze senili, solo con un rigore assoluto che per questo e’ quasi insopportabile da vedere… non ne siamo piu’ davvero abituati…
    C’e’ una scena che esemplica per me l’idea di Haneke: Trintignant ascolta la musica e ricorda quando sua moglia suonava il piano… un momento di grande intensità emotiva… che Haneke blocca subito facendo spegnere al protagonista lo stereo e lasciandolo meditare in silenzio.
    Ecco nessuna facile presa emotiva per lo spettatore e il protagonista, il dolore non puo’ essere abbellito da ricordi piacevoli, deve essere crudo e reale come in effetti e’.
    Ripeto, crudele questo austriaco.

    • Cristina Ruggieri scrive:

      Haneke appare tanto più crudele, quanto più abbiamo scelto di non guardare in faccia la realtà, ma piuttosto di crogiolarci in illusioni o speranze finte. E spesso sognando altro, la bellezza di ciò che è vero e reale ci passa davanti e nemmeno lo vediamo. E ciò che di negativo esiste ci appare ancora peggiore perchè per lungo tempo ci siamo rifiutati di guardarlo in faccia.

  7. Filemone e Bauci 2012 Reloaded. Dopo l’infinita serie di disavventure di sfigati di vario genere (pescivendoli, idraulici, portieri di notte, cantanti da pub, pugili di terzo livello, addomesticatrici di orche – !! – etc etc) che vivono in anguste case Ikea (quando va bene) in periferie qualunque, finalmente mi son goduta due protagonisti belli, intelligenti, colti, raffinati e ricchi. Mi correggo, molto meglio che ricchi, in realtà: solidamente benestanti, grazie all’esercizio e alla trasmissione a giovani talenti di una delle arti umane più complesse e più raffinate. Per giunta sono francesi, anzi del centro di Parigi, dove abitano un ampio (per davvero, non solo per Tecnocasa), luminoso, signorile appartamento ai piani alti e dai soffitti alti. I nostri due eroi leggono perfino, sono decisamente maturi ed equilibrati a livello emotivo, hanno (avuto) una vita sessuale appagante (insieme!) e sono di quel genere di persone (ormai in via di estinzione) che sanno fare per e provvedere a se stesse nelle piccole e nelle grandi cose. Sanno prendere decisioni (anche importantissime) per la loro esistenza e per quella di coloro che amano. Vivono la vita da protagonisti e non solo da spettatori (bellissima e simbolica la scena corale iniziale, in cui chi è al cinema si specchia in chi è al concerto). Come figlia si ritrovano Isabelle Huppert (se ancora non avessimo capito con chi abbiamo a che fare) mediamente cogliona (o forse no) e mediamente irrisolta, come mediamente molti della sua generazione (o forse no). Sono soddisfatti. Hanno e hanno avuto tutto. A proposito di amore (pulisco la tastiera prima di scriverne): il loro si sostiene anche e soprattutto sul costante scambio sincero e sentito delle parole magiche “per favore…”, “grazie!” (accidenti, non è che ci vorrebbe poi molto) e addirittura si rafforza nell’incontrollato e incontrollabile fluire di quel tipo di liquidi fisiologici che preferiremmo davvero non condividere con un partner. Siccome sono esseri umani anche loro, tutto questo, per quanto bello, prima o poi deve terminare. Per un terzo del film ho pensato di essere di fronte a un capolavoro. Poi mi sono ricreduta, soprattutto per il voyeurismo e la pornografia da ASL che ho trovato davvero superflui a un certo punto. “Come è bella la vita” dice la protagonista. Già. Il mio computer non ingrigisce, non suda, non se la fa addosso. Ma nemmeno mi chiede un libro, vuole ascoltare musica o contemplare un bel quadro. Non sa decidere per sé. E non fa mai l’amore.

  8. Roberta Ottavianelli scrive:

    Non ho amato questo film e a mio parere Haneke è un regista sopravvalutato. Dal punto di vista stilistico e tecnico è un film perfetto, l’assenza di musica, la cinepresa impietosa sui volti, nessuna concessione al melodramma, nessuno sconto, attori bravissimi.
    Ma non dice nulla di nuovo; la malattia distrugge la dignità, è un percorso durissimo per sè e per chi sta accanto, l’amore va oltre e dà il senso ad ogni cosa, è meglio – se si può – restare nella propria casa che non in ospedale.
    Tutto giusto, tutto condivisibile, ma nulla di nuovo, nulla su cui riflettere in fondo, nessuno spunto, nessuno sguardo diverso, solo l’angoscia del disfacimento fisico e psicologico nell’assenza di altre emozioni.
    Questo amore non l’ho “sentito”, l’ho visto certo ma non mi ha toccato il cuore, per questo non ho amato il film, che mi è parso più che altro un documentario.

    • Cristina Ruggieri scrive:

      Ti sembra un documentario perchè è un film verità. Non è una storia, è un film che descrive la realtà. Ma se è tutto così scontato, come mai, secondo te, l’eutanasia non è ammessa in quasi nessun paese del mondo?

      • Roberta Ottavianelli scrive:

        Questo film non ‘entra nulla con il complesso discorso sull’eutanasia. Riporto due stralci di interviste a Haneke:

        “Questo è un film molto semplice – dice Haneke, tornato a Cannes dopo il trionfo de “Il nastro bianco” nel 2009 – Non volevo fare una pellicola che rifletteva sulla società. Sono partito dal fatto che prima o poi nella vita bisogna confrontarsi con la sofferenza di qualcuno che ami”.

        E ancora

        “Perché ha voluto affrontare un tema così invisibile, quello degli anziani che soffrono?
        Michael Haneke: Non scrivo mai un film per mostrare qualcosa. Se arrivi a una certa età, ti confronti obbligatoriamente con la sofferenza della gente che ami: i genitori, i nonni. C’era questo all’origine del progetto. Non volevo dire niente sulla società. Non volevo fare un film sociale, con ospedali, questo genere di cose viste mille volte. Perché il tema del film è il comportamento della gente. E poi, formalmente, è più gratificante. Se un soggetto ti permette di restare in un solo posto, è ancora meglio. Sono molto contento di aver fatto un film semplice.”

        Sottolineo la frase “perchè il tema del film è il comportamento della gente”.

        A me non è piaciuto perchè è volutamente un film senza emozioni, non l’ho amato ma solo per come sono fatta io.
        Ribadisco che formalmente è un film perfetto.
        Concludo riportando uno stralcio di intervista a Trintignant sul discorso dell’assenza delle emozioni voluta da Haneke:

        “Ci ha sempre detto che non dovevamo far trasparire in noi nessuna emozione, a volte soprattutto nelle scene di Emmanuelle che erano piuttosto pesanti e difficili, lei scoppiava a piangere e lui interveniva tagliandole. Questo dimostrava una freddezza molto forte in lui, ma io la accettavo perché era accompagnata da grandissima sensibilità.
        Haneke non cercava la commozione suscitata dall’attore che piange, non voleva vedere lacrime; la commozione che riusciva a trasmettere era quella generata dalle scene portate sullo schermo. Non voleva che le nostre emozioni emergessero. In questo film non c’è mai la musica quale mezzo per enfatizzare i momenti di maggiore intensità emotiva, come spesso è capitato a grandi registi – vedi Hitchcock – che spesso utilizzano la musica per sottolineare le emozioni.
        Gli unici momenti in cui compare non è per far commuovere, ma è solo perché c’è un concerto dal vivo o il protagonista sta ascoltando un Cd. “

        • Cristina Ruggieri scrive:

          Certo Roberta. Trintignant dice esattamente quello che penso. E’ facile suscitare negli spettatori le emozioni attraverso quelle degli attori. L’idea di cinema di Haneke è che lo spettatore l’emozione la trova dentro di sè, non la riceve dall’attore. Allo stesso modo la storia dei protagonisti non gli è servita tramite flashback, è lo spettatore che se la deve ricostruire attraverso gli sguardi e gli oggetti della casa.
          Nei film di haneke lo spettatore è soggetto attivo. Come nella vita. Non è mai uno spettatore passivo. E guarda caso c’è un grande assente in questo film, la televisione. Il mezzo di fruizione passiva per eccellenza.

  9. Luigi Farioli scrive:

    Anne (Emmanuelle Riva) e Georges (Jean-Louis Trintignant) sono due ultraottantenni che vivono la loro vita serenamente. Entrambi ex-insegnanti di pianoforte hanno una figlia musicista, Eva (Isabelle Huppert) che vive a Londra con la famiglia. E’ un amore vero quello dei due ottantenni Anne e Georges, un amore fatto di rispetto, attenzioni, amore per la lettura e la passione che, forse, li ha uniti da sempre: la musica e l’insegnamento.
    Un ictus improvviso colpisce Anne e questo evento sarà l’inizio di un progressivo degrado fisico che minerà nel profondo la loro serenità e la loro stessa vita.
    “Promettimi che non mi porterai mai più in ospedale” chiederà Anne a Georges. Mi fermo qui nel raccontare la storia, perché questa storia non è da raccontare ma da vedere per poi riflettere.
    E’ un film doloroso quello di Haneke. Se il regista si accosta alla vita e all’intimità di questi due ottantenni con rispetto va anche detto che Haneke non risparmia allo spettatore nessuna delle umiliazioni che la vita, in quelle condizioni, riserva. Il film è girato interamente nell’appartamento parigino dei due protagonisti (fatta eccezione per l’incipit iniziale) dove si consuma il dramma della malattia aggiunto a quello della vecchiaia. Ma sopra al dolore, sopra all’umiliazione della perdita progressiva del movimento e della parola di Anne, c’è sicuramente l’”Amour”. L’amore di due persone che, assieme, sono una cosa sola e unica, come solo l’amore può e riesce a fare.
    Se l’interpretazione di Jean-Louis Trintignant è meravigliosa, quella tutta fisica di Emmanuelle Riva è straordinaria, indescrivibile la sua bravura.
    Con i titoli di coda, bianchi su fondo nero, senza musica ma in rigoroso silenzio, Haneke pare voglia lasciare lo spettatore lì seduto, in un silenzioso rispetto.
    “Amour” è come la lama sottile di un bisturi che entra nella carne di lo guarda, lentamente, senza anestesia, fino ad arrivare al cuore.
    A mio parere “Amour” è un capolavoro. Sicuramente un film che ha fatto e farà discutere. Assolutamente da non perdere.

  10. Vito Capozzo scrive:

    Anne è colpita da ictus e la serena vecchiaia passata a leggere libri, andare a concerti di musica sinfonica, si trasforma in un inferno.Georges abbraccia la moglie Anne, per aiutarla a sdraiarsi a letto, per farla sedere su una sedia, è un abbraccio di amore, di aiuto e sostegno. Qui l’amore è nei piccoli gesti quotidiani, che compie Georges nell’aiutare Anne, sempre più debilitata dalla malattia. Gli attori principali sono straordinari Jean-Luis Trintignant e Emmanuelle Riva.

  11. Elena Costa scrive:

    Nella buona e nella cattiva sorte è l’amore vero, e mai come in questo film lo si può riscontrare.
    E’ la cattiva sorte infatti che, senza preavviso, cambia la vita di due insegnanti di musica in pensione. Anne viene colpita da ictus che paralizza metà del suo corpo e Georges la aiuta in ogni modo per non sentirsi a disagio.
    Il film è un pugno allo stomaco, dolce e struggente ma non patetico, non fa versare una lacrima, inchioda alla poltrona per il suo realismo. Si entra in osmosi con le varie emozioni intense che offre.
    Non ha musica iniziale e finale, si resta muti nella crudeltà della vita, catapultati nel dramma. Di una bravura colossale i protagonisti, qua e là simbologie.
    Forse il piccione che entra dalla finestra aperta è la vita, quando è libera di volare, che infatti vola inizialmente e poi viene coperta, oscurata…Bel film che lascia sconcertati, un po’ come Hunger per me.
    Infatti siamo usciti mesti dal cinema e solo al tavolo per la pizza siamo riusciti a parlarne un po’, a rilento, a scoppio ritardato…questo fa questa visione!

Lascia un Commento