Questo è lo spazio dedicato a tutti i commenti, critiche e spunti di discussione che vorrete lasciare sul film “Un sapore di ruggine e ossa”.
Dati Tecnici
Regia: Jacques Audiard
Con: Marion Cotillard, Matthias Schoenaerts.
Durata: 120 min
Trama del film
Nel nord della Francia, Ali si ritrova improvvisamente sulle spalle Sam, il figlio di cinque anni che conosce appena. Senza un tetto né un soldo, i due trovano accoglienza a sud, ad Antibes, in casa della sorella di Alì. Tutto sembra andare subito meglio. Il giovane padre trova un lavoro come buttafuori in una discoteca e, una sera, conosce Stephane, bella animatrice di uno spettacolo di orche marine. Una tragedia, però, rovescia presto la loro condizione.
Trailer
Sono rimasta molto colpita da un momento particolare del film quello nel quale il bambino Sam è intrappolato sotto il ghiaccio…da un’inquadratura laterale sembra un feto nel ventre materno. La sua “nascita” la identificherei nel momento in cui Alì riesce a trascinarlo fuori, a salvarlo, grazie alla forza (qs. volta positiva) dei suoi pugni. E’ un momento secondo me simbolico: è la ri-nascita di Ali come uomo nuovo, in grado di amare il figlio che ha strappato alla morte e poi la sua donna Stephanie. Da questo momento riparte uan nuova vita per tutti e tre. Il film mi ha commosso e coinvolto molto.
Stupefacente l’occorrenza del termine “decerebrato” nei commenti… Davvero stupefacente. E sono d’accordo con Crtistina Bellosio ‘sto decerebrato ci ha risolto un sacco di problemi senza fare tante storie. C ne fossero di decerebrati così…
Assolutamente d’accordo con te, Ilaria, e con Cristina!!
Un decerebrato che strappa il figlio alla madre per evitare che venga usato come corriere della droga, che non si scompone assolutamente di fronte alla disabilità di Stephanie andando oltre, che si distrugge le mani con ferma convinzione di farcela, nonostante tutto, per salvare il figlio……
Sono assolutamente favorevole al comportamento “animale” tanto che invecchiando invece di seguire la saggezza tendo a farmi guidare totalmente dall’istinto. Cerco quindi di avvicinarmi quanto posso ad un bruto decerebreto. Però vorrei effettivamente vedervi in compagnia di uno di loro (e non solo in orizzonatale) quanti minuti riuscireste a reggere. Questi sono miti, esattamemwnte come molti uomini vorrebbero tanto le veline, per poi stancarsene una volta che si alzano da letto. Inoltre per trovare veline e decerebrati bisognerebbe frequentare i loro ambienti e … penso che ci stancheremmo tutti dopo 20 secondi.
ps i miti riescono ad essere molto affascinanti, almeno fino a quando restano tali
Rispetto le varie opinioni positive su Alì ma non concordo, almeno non in senso generale, luci ed ombre sono dentro ognuno di noi. Il mio commento negativo, forse un po’ troppo sbrigativo, era inteso nel senso che quest’uomo sembra non avere la consapevolezza delle persone che lo circondano, e personalmente credo che la consapevolezza di sè e degli altri, l’empatia e la capacità di comprendere i bisogni e i sentimenti altrui siano fondamentali nella vita. Non sono d’accordo nel giustificare sempre tutto in nome della sofferenza subita e comunque noi non sappiamo niente del passato di Alì. Certo, lui si fa carico del figlio (e non sappiamo se l’abbia fatto per volontà o per imposizione esterna), ma in che modo? E’ un padre poco affettuoso e distante, a volte lo maltratta, quando sua sorella lo mette di fronte al problema che le ha causato lui fugge lontano, abbandonando Stephanie e il figlio, che poi recupera certo, ma immagino conosciate le conseguenze psicologiche che hanno gli abbandoni su bimbi così piccoli e senza la figura materna. Ovvio che salva il bimbo, reazione naturale e istintiva, non vedo nessun eroismo in questo. D’accordo, non si scompone di fronte alla disabilità di Stephanie ma non tiene minimamente in conto della sua sensibilità e dei suoi sentimenti, non per cattiveria ma perchè non si rende conto di ferirla (rammentate la scena in cui rimorchia una ragazza in discoteca?). Detto questo, mi sembra abbastanza naturale il risveglio interiore causato da una tragedia, come sarebbe stato l’epilogo se non fosse successo l’incidente al bimbo?
Allora, allora, non vorrei assolutamente essere presa troppo sul serio. Penso che il termine decerebrato sia un brutto termine e pieno di disprezzo e ho il sospetto che nasconda un certo rancore e una certa rabbia verso una categoria di uomini o di comportamenti maschili estremamente comuni, ahimé, peraltro. Credo che il protagonista del film sia un personaggio descritto con grande realismo e compattezza (io penso di averlo compreso) mentre la protagonista femminile per me è descritta in modo evenescente e approssimativo (io non l’ho quasi mai compresa, a partire dalla scena in cui la conosciamo). Ho molto più compreso il personaggio della sorella, che mi è piaciuto molto. Il fatto è che già di quel che accade nel mondo reale ognuno dà la propria interpretazione, immaginiamoci di quel che accade in un film. Alla fine, anche con i nostri commenti, quel film lo stravolgiamo, perché ciascuno di noi si racconta la propria storia, la racconta agli altri e poi tutto si mischia. Certo, bisognerebbe contestare questo sito e l’organizzazione di Amicinema che alimenta e spinge alla condivisione e al confronto. Forse sarebbe meglio chiudere il sito e che ciascuno andasse a vedersi il film da solo, in un cinema monoposto, dopo un isolamento dal mondo per almeno 15 giorni, per limitare il rischio di contaminazioni esterne e mentali. Siccome ciò non è possibile poi succede che stiamo qui a scrivere e a pensare.
Secondo me il nostro uomo, come anche altre persone al mondo, è ambivalente. Fa anche lui quello che può con i mezzi che ha. E le sue risorse sono importanti. Sul treno, dopo – si suppone – giorni di un viaggio faticosissimo il bimbo gli dice “Ho fame!” e lui fa il giro dello scompartimento per raccattare del cibo. Io, che sono schizzinosa non l’avrei mai fatto, ma quel gesto vale più di dieci sedute dallo psicologo infantile. Il bimbo sta nella cacca dei cani? Lui lo tira fuori e lo lava. E’ vero, certo, non gli canta la ninna nanna, non gli spalma il Fissan sul sedere e non gli mette il borotalco. La tipa è senza gambe e sta chiusa in casa? Lui la porta fuori, sulle spalle, le fa fare il bagno (scena molto simbolica secondo me). La tipa ha un blocco? E lui dice: “se vuoi ti sblocco”. E la sblocca. Punto. Mica tante storie, la via è quella più breve e più semplice. Quella che in un mondo ad alto tasso di nevrosi come quello descritto, è per molti la più difficile. E’ la sua via. Woody Allen ne avrebbe trovata un’altra. Si parla di “diversamente abili”: tutti noi siamo diversamente abili uno dall’altro. E questa, notoriamente, è la più grande ricchezza dell’essere al mondo e del vivere insieme.
Vorrei proprio che non mi venisse di pensare che salvare un bambino non sia fatto naturale e istintivo, per chiunque.
Generalmente il modo più facile per ottenere una cosa è chidererla. La risposta più semplice e’ darla. Poi viene la società e gli universi di genere e tutto si complica
Ilaria, viva la condivisione e il confronto, le critiche e le riflessioni conseguenti, apprezzo sempre la tua ironia. Visto che la parola “decerebrato” l’ho usata io ti rispondo: è vero, non è stata una scelta felice del termine ma credimi, non c’è rancore nè rabbia nè disprezzo, nulla di tutto ciò, il mio sguardo sul mondo è sempre stupito, aperto e curioso. Forse poco concreto e molto sfumato, questo è vero, ma conto sempre molto sui miei margini di miglioramento, felice del confronto con tutti.
No, mica l’hai usata solo tu. E poi io ho espresso solo quello che sento. Non certo giudico
“decerebrato” mi è molto congeniale.
E’ un termine usato nel copione dello spettacolo che abbiamo messo in scena “Acido solforico”. Viene utilizzato dalla produzione TV all’indirizzo dei Kapo’ di un reality su un campo di concentrameneto.
Il problema quindi non sta nella parola, ma a quello che si abbina. Io credo che nel caso di Alì si intoni molto meglio “basico” che tra l’altro stando alla base è privo di ogni giudizio
Ilaria concordo: Ali fa tutto ciò che dici, ma è anche superficiale nel giudicare l’effetto delle sue azioni. Vale per quello che fa a Stephanie, per le sue dimenticanze nei confronti del bambino, ma anche per il lavoro di installatore di telecamere, che lui fa senza riflettere, e causa la perdita di lavoro alla sorella. Il film ce lo mostra prendere finalmente coscienza quando è sul punto di perdere il bambino. Alla luce di quello che hai scritto mi domando: ma da adulto cosciente (e quindi che calcola le conseguenze) avrebbe mai sottratto il figlio alla madre o “sbloccato” Stephanie?
Concordo con la maggior parte dei commenti positivi che ho letto qui. Aggiungo solo che è un film molto intenso e molto fisico. Alain e Stephanie rappresentano entrambi quella libertà senza responsabilità su cui il cinema francese sembra interrogarsi. Basta ricordare “Piccole Bugie tra amici”. Entrambi paiono non rendersi conto che le loro azioni “libere” hanno conseguenze sugli altri. Fino al momento del dramma, che rende improvviasamente consapevoli della solitudine e della perdita. La poesia, l’ingenuità e la freschezza dello sguardo di Audiard ci fanno perdonare qualche momento scontato o troppo prevedibile e il lieto fine forse un po’ banale.
ma perchè nella traduzione anno trasformato Alain in Alì !!!!
bella domanda!
Ali, un maschio decerebrato ed insensibile ? Io direi brutale, istintivo, fin troppo concreto, ma anche capace di gesti concreti, di presenza fisica e realismo.
Molti uomini sarebbero fuggiti codardamente di fronte allo spettacolo di una donna fisicamente mutilata oppure sarebbero rimasti, ma avrebbero mostrato solo atteggiamenti pietistici. Ali no. Ali accetta la disabilità con assoluta naturalezza, non la rifugge, ma se la prende sulle spalle. Mette a disposizione il proprio corpo e riesce a far sì che questa donna riprenda contatto con il proprio corpo.
Io invece non l’ho assolutamente trovato un film entusiasmante. Molto apprezzabile la maniera in cui tratta il tema della fisicità nei “diversamente abile”, ma per il resto l’ho trovato un po’ banale e prevedibile (aspetto che ha reso a mio avviso un po’ insopportabile l’abuso delle riprese rallentate), con personaggi esageratamente stereotipati, a partire dal maschietto completamente decerebrato che senza la presenza di una donna (sorella o amante che sia) riesce sempre a dare il peggio di sè.
Commento del cuore: il film mi è piaciuto per le emozioni che mi hanno suscitato alcune scene, il bimbo che appoggia la testa accanto a quella del padre che guarda la tv, lei che parla con le mani all’orca al di là del vetro, i giochi sul ghiaccio e molte altre; perchè l’amore fa i giri che vuole prima di manifestarsi; perchè non ci sono giudizi, assoluzioni o condanne; perchè riconciliarsi con la vita è difficile ma possibile nonostante le amputazioni fisiche e quelle emotive; perchè la fisicità, il corpo, le lacrime, il sangue, il sudore riportano l’essere umano alla terra, ancorano in qualche modo al mondo.
Commento della testa: è la storia di un decerebrato che non si rende conto di nulla di ciò che lo circonda se non di sè stesso e che finalmente apre il cuore quando sta per perdere ciò che più ama (troppo facile).
La ripresa psicologica di Stephanie è troppo affrettata, miracolosa direi. E lei che fa la broker mi è parso davvero troppo.
Messi insieme testa e cuore: valeva decisamente la pena vederlo
C’è un aspetto, nei film di Audiard, che si ripete, che sembra ormai essere la sua firma, la sua impronta: la coesistenza di poesia e rudezza, nel film, nei personaggi e nelle loro vite!
Rudezza e poesia in Stephanie, nel suo sfacciato proporsi forte, libera e esigente, dura quando serve, tenera e morbida nello splendido incontro con l’orca, nei gesti danzanti e decisi del suo magico lavoro che la riportano alla vita, negli sguardi carezzevoli verso il piccolo Sam, nella sua vita che bruscamente la abbatte.
Rudezza e poesia in Alì, nel suo sguardo perso e nel sesso spiccio, nello schizofrenico alternarsi di rabbia e tenerezza verso il figlio, nel suo prendersi cura di Stephanie, senza niente in cambio.
Un’amicizia schietta e di comodo tra i due, soli , delusi e disincantati, che evolve in una crescita personale, nella riscoperta di sentimenti trattenuti, nel supporto reciproco che viene compreso alla fine essere amore.
La vita può rompere le ossa e mettere la ruggine sui sentimenti, ma la forza della vita stessa, della solidarietà senza pietismo o melodramma, e dell’amore potente verso un figlio, irrompe, mette a posto, ripulisce e la rudezza lascia il passo alla poesia!
Tenero e ben recitato. Queste le due cose che mi sono saltate all’occhio di più. E qualche scorcio e inquadratura abbastanza creativi, come la corsa di lui sulla macchina da cui si vedono solo la strada di lato e l’orizzonte, lui e lei che passeggiano con il sole che ogni tanto abbaglia, alcuni scenari notturni sempre molto ini movimento. Però in molte situazioni ho avuto una marcata sensazione di déjà vu, come durante le inquadrature sommerse, nella scena del piccolo sotto il ghiaccio (ho visto scene analoghe in più di un film, tra cui il belissimo Primavera, estate, autunno, inverno… e ancora primavera, di Kim Ki Duk). A volte mi è perfino sembrato simile a Quasi Amici, ho ritrovato la stessa ironia leggera sulla disabilità…
Però devo dire che qualcosa mi ha smosso, a livello profondo. Infatti quando sono uscita non avevo così voglia di parlarne con gli altri e di cercare un confronto, come mi accade di solito. Ho preferito lasciar decantare le emozioni e le sensazioni dentro di me, senza condividerle. E quando mi succede di solito è perché ho visto un film che ha più di un messaggio e che lavora su più livelli, tutti da decodificare.
La solita commedia francese in qualche appartamento in qualche rue de chic di Parigi, mi aveva veramente stufato.
Carne, sangue, sesso. I grandi magazzini francesi che spopolano anche qui. E poi, qualcosa forse chiamato amore e’ riuscito a farsi strada in questo mare di denti spezzati e fibre di carbonio.
Il film di Jacques Audiard ci racconta l’incontro/scontro tra un uomo basico ed una donna cinica e la loro trasformazione.
Lei, donna attraente in cerca di forti emozioni, affascinata dal potere che esercita sulle orche assassine e che vorrebbe applicare anche agli uomini.
Lui, uomo insensibile (ma è in grado di strappare il figlio ad una moglie che lo voleva usare come corriere della droga), ha una vita precaria. Amante dei combattimenti, non sembra in grado di nutrire nessun tipo di sentimento.
Dopo che Stephanie perde le gambe in un incidente con le orche, la perdita del suo fascino e del suo potere e la commiserazione dei suoi amici gli tolgono ogni interesse nella vita, per sfuggire a questo si incontra con Alain e la sua totale mancanza di tatto la porta a reagire ed a riscoprire la voglia di vivere. Un tema che abbiamo già incontrato in Quasi amici, ma qui le cose sono rese più complicate da un rapporto uomo donna.
Se la reazione di lei risulta credibile, il film si perde e diventa un po’ scontato quando, quasi per osmosi, la trasformazione di Stephanie si dovrebbe applicare ad Alain, la scena sul ghiaccio è veramente telefonata ed anche l’happy end è un po’ stucchevole. Ma nel complesso il film mantiene una giusta tensione, la loro relazione si sviluppa in modo credibile, anche se il personaggio di Alain risulta forse eccessivo, tanto che quando gli chiede se vuole fare sesso, si ride più che sorridere.
Un’ultima nota, perché solo i francesi riescono a fare film intelligenti sulla disabilità ?
Dal regista de ‘Il Profeta’, altro bellissimo film da non lasciarsi mancare, ecco una commedia melò molto carina. Stéphanie lavora ad uno show acquatico e fa saltare le orche, bella, fidanzata ma libera, va in discoteca da sola. Ali è sbandato, ha un figlio piccolo, vive di scommesse in lotte clandestine, fa anche il buttafuori e la guardia notturna. Si conoscono prima dell’incidente che costringe lei su una sedia a rotelle e si frequentano dopo. Ed ecco la vera storia, quella di due sopravvissuti alla vita, quella di due corpi che cercano l’anima nei loro rispettivi vuoti. E’ un film in cui per recuperare si perdono le gambe, i denti, il lavoro, gli affetti, in cui un vero e sentito ‘ti amo’ esce dopo tanto tempo e viene pronunciato nel buio totale dello schermo e in un momento fra i più drammatici. Emergere dalla superficialità (così come le orche emergono dall’acqua ad un semplice richiamo conosciuto e affettuoso, per me la scena più commovente quella di lei con la mano sul vetro e l’orca che risponde…) e immergersi negli affetti importanti che, quanto più si stan perdendo, tanto più ci dan la consapevolezza della loro importanza. Un film che ha parti un po’ scontate sicuramente, ma equilibrato e molto interessante!
Io amo Audiard e “Tutti i battiti del mio cuore” e’ uno dei miei film preferiti di sempre.
Questo film l’ho visto mesi fa nella rassegna milanese dei film di Cannes, ma la memoria e le sensazioni sono ancora forti, magari non mi ricordo piu’ alcune scene, ma l’emozione e’ rimasta attaccata sotto pelle.
E questo per me e’ un segno della qualità del film.
Audiard ci racconta una storia d’amore tra due emarginati sociali, due persone con problemi relazionali che forse trovano senso e valore nello stare assieme, sono fatti apposta per stare assieme e forse non lo potrebbero fare con nessun altro.
E’ una storia fisica come sempre nei film del regista francese, dove l’amore e’ sempre legato ad una sofferenza fisica, come se per testarne il valore dovessi mettere in gioco non solo il cuore, ma anche la carne stessa… sentire i lividi neri sulla pelle e i cerotti nell’anima.
I due protagonisti sono completamentari anche in questo, lui che si affida tutto al fisico, lei che nel fisico e’ menomata… impareranno nella durata della pellicola a trovare un equilibrio tra di loro e tra corpo e sentimenti.
Per me e’ una grande storia d’amore… non quello assoluto e perfetto, ma quello che si conquista giorno dopo giorno con la sofferenza, con l’impegno, guadagnando metro dopo metro.
E che ti lascia appunto un bocca un sapore di ruggine…
Beh, insomma, il prezzo del biglietto è stato di 5,50… Non esageriamo, su.
Per gli Amici del cinema 4,5 ahahahahahaha
Jacques Audiard, prendendo spunto dai racconti di Craig Davidson, continua il suo percorso focalizzato su personaggi ai margini di una vita violenta in cerca di salvezza e redenzione.
Un sapore di ruggine e ossa vede protagonisti più che due border line due veri cani rabbiosi….da una parte Alì ragazzo padre di un bambino di 5 anni che fa della sua fisicità la sua ragione di vita lavorando come buttafuori, vigilantes e soprattutto in combattimenti clandestini di full contact dall’altra parte c’è Stephanie una donna che ama eccitare chi la guarda, un’addestratrice di orche che a causa di un brutto incidente perde entrambe le gambe e che furiosamente e senza compassione cerca di andare avanti…..così dopo un incontro casuale in un locale notturno le due vite si incroceranno sempre di più in un modo che definirei bestiale.
Questo è un film che piacerebbe molto a David Cronenberg per la rappresentazione di questi due freaks tutta basata sui loro corpi…..corpi lacerati dalle ferite della vita e dalla violenza che li circonda, corpi che si accoppiano in maniera animale quasi primordiale, corpi tatuati provocatoriamente, corpi che non sanno esprimere e comunicare un sentimento nascosto nel loro profondo…..
Questi corpi sono ottimamente interpretati da Marion Cotillard (che può perdere tutti gli arti che vuole ma ha due occhi che esprimono tutto) e da Matthias Schoenaerts un rozzo che reprime da troppo tempo un amore da urlare nei confronti di un figlio o di una donna.
In un film decisamente di pancia fin dalle prime battute quello che latita è proprio la regia, ho trovato una messa in scena troppo piatta per rappresentare i tormenti dei due personaggi…..situazioni un pò troppo telefonate che si riscattano nell’epilogo drammatico nel lago ghiacciato…..forse sarò esigente io ma dal regista de Il profeta mi aspetto sempre quel qualcosa che valga il prezzo del biglietto
Voto 6,5