Tutto parla di te

Mercoledì 17 aprile Alina Marazzi e il suo nuovo film “Tutto parla di te” sono stati protagonisti dell’uscita degli Amicinema.

Come da buona abitudine apriamo lo spazio dedicato a tutti i commenti, critiche e spunti di discussione che vorrete lasciare sul film.

Dati Tecnici
Regia: Alina Marazzi
Con: Charlotte Rampling, Elena Radoninich, Maria Grazia Mandruzzato,Valerio Binasco
Durata: 83 min

 

Trama del film

Pauline (Charlotte Rampling), torna a Torino, sua città natale, dopo una vita passata all’estero. Qui, la donna ritrova Angela (Maria Grazia Mandruzzato), un’amica che dirige un Centro per la maternità, e per lei inizia una ricerca sulle esperienze e i problemi delle madri di oggi, a partire dalle testimonianze video raccolte dalla stessa Angela.

 

Trailer

http://www.youtube.com/watch?v=EtzuoXG_f7o

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  1. Ugo Besson scrive:

    Il film affronta con sensibilità e intensità il tema delicato degli ambivalenti sentimenti nei confronti della maternità, fra attese, miti, sogni, gioie e sofferenze. Come dice una madre nel film “quando ti accorgi che non c’è solo amore, c’è dell’altro, allora ti crolla tutto”. Non si può accettare un sentimento negativo, di rifiuto o fastidio o peggio, nei confronti del figlio piccolo. C’è nel film il caso tragico dell’infanticidio e quello meno grave ma più frequente espresso da un’altra madre: “la mia aggressività non diventa violenza nei suoi confronti, non diventa gesto, ma c’è, la sento, la controllo ma poi ho forte il senso di colpa”.
    Alina Marazzi mette insieme, com’è il suo stile, differenti mezzi e stili espressivi: narrazione di vicende recitate da attori, interviste, documenti d’archivio, cartoni animati, Tuttavia, l’amalgama non mi sembra ben riuscito e alla fine sembra più convincente la parte documentaria che quella recitata. Charlotte Rampling è un po’ deludente, troppo passiva, con l’espressione quasi sempre uguale del viso, mostrata immobile troppo spesso, mi sono sembrate più espressive alcune donne intervistate. La narrazione è un po’ frantumata, non si capisce fino alle ultime scene cosa c’è dietro il comportamento di Pauline, le parti non si connettono bene, la sceneggiatura poteva essere più ricca, scandagliando più a fondo le vicende psicologiche e le interazioni fra le due protagoniste, i dialoghi sono troppo brevi e poveri, a volte solo accennati.
    Significativo quello che dice Emma alla fine quando sembra risolvere il suo rapporto col figlio: “adesso vedo lui come un’altra persona, io sono io e lui è lui, io sono io, capisci”.
    Come padre che ricorda pannolini, ninne nane, biberon, carrozzine … rilevo che nel film praticamente non ci sono i maschi, compagni, padri, fratelli… un universo quasi solo femminile.

  2. Daniela Lazzara scrive:

    Ho trovato il tema interessante, in particolare la raccolta delle testimonianze che forniscono un quadro molto variegato della depressione post parto, che può colpire le donne, quelle che arrivano alla maternità come ad una scelta consapevole, voluta, e quelle che ci si ritrovano magari prematuramente o la affrontano da sole. Altro elemento positivo, riscontrato anche nel precedente lavoro di Alina Marazzi “Vogliamo anche le rose”, l’arricchimento della vicenda cinematografica di sequenze e immagini d’epoca e di un inserto animato davvero bello. Poco convincente, invece, per me, il modo scelto per intrecciare a quelle testimonianze la vicenda di Pauline. Alla fine del film la sensazione è di una mancanza di equilibrio tra le due parti: molto intensa quella con le voci che ci raccontano esperienze di vita vissuta, lieve e forse poco approfondita quella relativa alla protagonista.

  3. Vito Capozzo scrive:

    Pauline rivive un suo dramma personale, attraverso i racconti, le storie, le paure di alcune neomamme. La paura di non essere adeguate al compito, sempre sotto giudizio da parte di madri, suocere, amiche.
    La maternità diventa una tortura, un incubo, se poi i mariti/compagni non collaborano……….
    I pupazzetti con cui giocava Pauline rappresentano una bella famiglia, spensierata, ma la realtà non è così.
    Filumena Marturano in un momento di disperazione si rivolge a una statuetta della Madonna, per sapere se doveva uccidere i figli, qui ai giorni nostri ci sono fortunatamente dei centri specializzati che seguono, sia dal punto di vista psicologico, che sanitario le future mamme.
    Ricordo alcune colleghe sempre a disagio, le suocere, le cognate dovevano sempre interferire sul modo di allevare i figli, i mariti poi erano assenti, non aiutavano.
    Il mio giudizio sul film è BUONO.

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