Liliana Cavani nasce a Carpi nel 1933, da una famiglia operaia. Nel 1959 si laurea in Lettere Antiche a Bologna, ma poi decide di intraprendere la strada del mondo dello spettacolo: nel 1960 si iscrive al Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma, e ottiene il diploma coi corti Incontro notturno (1961) e L’evento (1962).
Vince un concorso della Rai, e realizza diversi documentari e inchieste di stampo sociale e politico, incentrati su diversi aspetti della Seconda Guerra Mondiale, come Storia del III Reich (1962-63) e La donna nella Resistenza (1965). Nel 1965 ottiene il Leone di San Marco al Festival di Venezia per il miglior documentario con Primo Piano – Philippe Pétain processo a Vichy.
Nello stesso anno esordisce con il suo primo lungometraggio, Francesco d’Assisi, che è anche il primo film prodotto dalla Rai. Presentato con successo alla Mostra del Cinema di Venezia, ma giunto nelle sale italiane solo tre anni dopo, è tratto da un sceneggiato tv che aveva diretto in precedenza. Nonostante la Cavani sia una “cattolica del dissenso”, realizza un ottimo ritratto del patrono d’Italia, interpretato da Lou Castel.
Nel 1968 firma Galileo (in concorso al Festival di Venezia), nel quale affronta il tema del rapporto tra scienza e religione e tra intellettuali e potere, raccontando la storia del fisico e dell’astronomo durante il processo per eresia. Nel 1969 gira I cannibali (con Pierre Clémenti, Britt Ekland, Tomas Milian e Delia Boccardo), rivisitazione in chiave moderna dell’Antigone di Sofocle, che riflette sul conflitto tra pietà e legge e sui crimini perpetrati in nome dell’autorità.
Dopo la scarsa accoglienza del pubblico, la Cavani torna alla televisione per la serie di documentari I bambini e noi (1970).
Nel 1971 dirige L’ospite (fuori concorso al Festival di Venezia), che racconta la storia dell’ emarginazione di una donna ricoverata da anni in manicomio e che tenta invano di reinserirsi nella società dei sani. L’anno seguente la Cavani si appassiona ad un testo classico della letteratura tibetana, Milarepa, un mistico del X secolo, e ne trae una riflessione sui temi della stregoneria e del buddismo.
Nel 1974 la regista firma il suo capolavoro e il suo film più celebre: Il portiere di notte. Il progetto della sceneggiatura è già nel suo cassetto da tempo, ma ha difficoltà a trovare un produttore, che sarà poi l’americano Robert Gordon Edwards. Con Dirk Bogarde, Philippe Leroy, Gabriele Ferzetti, Isa Mirandae soprattutto un’indimenticabile Charlotte Rampling, il film racconta la storia dell’ambiguo legame tra vittima, una donna ebrea, e carnefice, un ex nazista, che chiusi in un albergo affondano in un abisso di ricordi e perversioni. Uno dei film più scandalosi e uno delle pietre miliari del cinema italiano, Il portiere di notte diede notorietà internazionale alla regista, per lo scandalo suscitato sia dalla crudezza di scene violente e ossessivamente erotiche, sia dalla problematica del nazismo. Nel 1977 gira Al di là del bene e del male.
Nel 1981 dirige Marcello Mastroianni, Claudia Cardinale e Burt Lancaster nel criticatissimo La pelle, tratto dall’omonimo romanzo di Curzio Malaparte. Seguono Oltre la porta, del 1982, che ambienta una trama d’incesto in Marocco, Interno berlinese, del 1985, che affronta ancora il tema delle perversioni sessuali ma che non incontra il favore della critica, come anche Francesco, del 1989, con Mickey Rourke. Nel 1993 firma il delicato Dove siete? Io sono qui con Chiara Caselli e Anna Bonaiuto, storia di un amore fra sordomuti.
Si impegna poi anche nella lirica, dirigendo numerose opere per il Maggio Musicale Fiorentino e il Ravenna Festival, oltre che per teatri come l’Opéra di Parigi e la Scala di Milano: La Traviata (1992), Cavalleria rusticana (1996) e Manon Lescaut.
Diventa consigliere di Amministrazione della Rai, e torna alla regia nel 2002 con Il gioco di Ripley, interpretato da uno strepitoso John Malkovich e tratto da un romanzo di Patricia Highsmith, grazie al quale la regista ritrova il successo internazionale.
Si dedica nuovamente alla fiction con De Gasperi – L’uomo della speranza, del 2005), dirigendo Fabrizio Gifuni e la moglie Sonia Bergamasco nei ruoli dello statista e di sua moglie, seguito, nel 2008, da Einstein.
Nel 2009 è membro della giuria della 66ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, e nel 2012 riceve il David Speciale alla Carriera.
Il suo nome rimane legato al magnifico personaggio impersonato da Charlotte Rampling, ma tutta la sua filmografia fu scandalosa per l’Italia perbenista di quegli anni, e oggi è un cult. Ha creato tormentoni e feticci che sono rimasti nella nostra memoria e nell’immaginario sociale e culturale, contribuendo a sdoganare in ambito cinematografico temi come il razzismo, il sadomaso, l’omosessualità, la religione e la violenza.
Al di là del bene e del male, il film che abbiamo scelto per la nostra rassegna “Visioni al femminile”, è ispirato alla reale storia intercorsa tra Friedrich Nietszche, Paul Rée e Lou Salomé, e narra un triangolo sentimentale nella Roma di fine Ottocento.
Chi conduce il gioco perverso del desiderio è Lou e suo, e quindi della regista, è il punto di vista sugli avvenimenti. Sostenuto da scene e ambientazioni di sfarzo viscontiano, è un film denso, ambizioso, e ricco di suggestioni letterarie.