Allacciate le cinture

Mercoledì 12 marzo “Allacciate le cinture” e’ stato protagonista dell’uscita degli Amicinema.

Come da buona abitudine apriamo lo spazio dedicato a tutti i commenti, critiche e spunti di discussione che vorrete lasciare sul film.

 

 

Dati Tecnici
Regia: Ferzan Ozpetek
Cast: Filippo Scicchitano, Kasia Smutniak, Francesco Arca, Carolina Crescentini e Elena Sofia Ricci.
Durata: 110 min

Trama del film
“Elena si divide tra Antonio e Fabio, due ragazzi che, in modo diverso, decidono di amarla. Antonio è la passione travolgente e proibita che sogna di diventare amore ma non sa se ne è degno e all’altezza, Fabio è l’amicizia totale che è già amore ma accetta i confini dettati dalle proprie scelte esistenziali. Due amori che non si escludono a vicenda ma che si sfidano in continuazione. In questa sfida ogni segreto, ogni desiderio nascosto e ogni sussulto del cuore viene vissuto come una turbolenza da cui tutti loro hanno paura di essere travolti.”

 

Trailer
http://www.youtube.com/watch?v=4Iyc54Bkeqk

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  1. Vito Capozzo scrive:

    Ozpetek riconosce alle donne quella forza, quel coraggio, per affrontare i problemi sempre a testa alta, il lavoro, la famiglia, la malattia, mentre gli uomini scappano, fuggono dalle responsabilità.
    Bravissime le attrici Carla Signoris, Elena Sofia Ricci, Paola Minaccioni e Kasia Smutniak, complimenti anche ai due piccoli protagonisti.

  2. Marta Erba scrive:

    SPOILER*** Noto che le parole più usate dai detrattori di questo film sono “banale”, “scontato”, “stereotipi” “caricaturale”. Ecco, quello che per molti è il punto debole del film per me è il punto di forza. La storia raccontata da Ozpetek, forse, non ha niente di originale. Ma più che banale la definirei essenziale, “archetipica”: mette in contatto con meccanismi familiari, eterni, e credo sia la vera ragione per cui molti di noi lo hanno apprezzato. A partire dalla storia dei due protagonisti, che si innamorano nel più classico dei modi: partendo da una forte attrazione fisica, a cui segue quella che si potrebbe definire una “dinamica genitore-figlio”. Elena si innamora di Antonio quando scopre che è dislessico, cioè quando ne vede la parte fragile e le scatta il desiderio di proteggerlo. Antonio vede in Elena una donna autonoma, indipendente, solida (tutto ciò che lui non è e che non è certamente Silvia, la donna che sta frequentando) e quindi in grado di proteggerlo. Entrambi i meccanismi, quello fisico e quello “parentale”, sono ormonali, biologici, e quindi se vogliamo “banali”. Sono quelli che classicamente muovono le storie d’amore destinate all’infelicità. E infatti Antonio ed Elena saranno una coppia infelice, poiché incastrati nei rispettivi ruoli: lui continuerà a sentirsi inferiore e indegno di lei e cercherà donne “al suo livello” (come la parrucchiera), lei continuerà a trattarlo da bambino irresponsabile, sopportandone i numerosi tradimenti. La svolta avviene con il tumore: lui inizialmente scappa (anche questo un classico dell’elemento debole, “bambino”, della coppia di fronte alle difficoltà) ma poi decide (per amore, l’amore che di fatto c’è sempre stato, nonostante le incomprensioni e l’incomunicabilità) di “allacciare le cinture” e provare ad affrontare la situazione. Lo fa all’inizio in un modo rozzo (ma anche molto tenero) sollevando Elena dall’impegno di scaldargli la minestra e facendole un complimento (“E’ buona. Anche fredda”), poi con la sua silenziosa presenza in ospedale, e infine – in una delle scene secondo me più toccanti – dimostrandogli la sua vicinanza, e la sua “assunzione di responsabilità”, nell’unico modo che conosce: non con le parole ma con il suo corpo. Il cambiamento è forte, anche se non è detto che quella di Antonio ed Elena sarà poi una storia felice. Quello che ci dice Ozpetek è che “un grande amore non ha mai fine”, non ci dice però se questo sia un bene per chi vi è coinvolto.
    La stessa “essenzialità” la vedo negli altri personaggi del film, nel modo in cui Ozpetek ne descrive le relazioni, i momenti di intimità e le risate salutari (come quella che chiude il film). Il tutto è condito da una colonna sonora “di grande effetto”, come fa giustamente notare Claudio, che tocca sapientemente le corde emotive. Tutto banale? Forse. Come sono banali le nostre vite, le nostre amicizie, i nostri innamoramenti.

    • Marta Erba scrive:

      aggiungo un’altra riflessione per replicare a chi dice che i personaggi non abbiano un’evoluzione. In realtà c’è almeno un personaggio che ha una chiara evoluzione ed è Antonio. Significativa è la domanda che pone a Elena nella scena dell’ospedale: “Ma tu mi hai mai stimato?”. La risposta di Elena “io ti ho sempre amato” può sembrare bella, invece non lo è, perché indirettamente gli sta rispondendo un’altra cosa: “no”. E’ la mancanza di stima da parte di Elena che non ha mai permesso ad Antonio di crescere. Quando Elena scopre di avere un tumore, sembra dare per scontato che Antonio non la aiuterà (tant’è che lo annuncia a tutta la famiglia, non al marito, che si trova seduto in una posizione di secondo piano) e che, come sempre, dovrà cavarsela da sola. Perfino sul letto di ospedale sembra non accorgersi che Antonio sta cercando di prendersi cura di lei, cioè di invertire le parti, di “cambiare copione”. Possiamo fantasticare che con il tempo lo capirà, che deciderà di affidarsi veramente ad Antonio e che questo cambiamento “necessario” le salverà la vita. Ma questo cambiamento noi spettatori non lo vediamo, o almeno non in modo così chiaro come lo vediamo in Antonio. Elena, insomma, resta uguale a se stessa fino alla fine.
      Tutto questo è reso più affascinante dalla genialata di Ozpetek di creare un suggestivo parallelo finzione-realtà chiamando per la parte di Antonio (con una scelta in questo caso tutt’altro che banale, direi anzi decisamente coraggiosa) il “tronista” Francesco Arca: un uomo abituato a lavorare con il corpo ma del tutto estraneo all’impegno mentale ed emotivo che richiede la recitazione. Un pesce fuor d’acqua in quel contesto. Ozpetek, secondo me, intendeva creare sul set cinematografico la stessa situazione che voleva rappresentare nel film. Come Antonio, Arca ha accettato la sfida ma (lo dice lui stesso in qualche intervista) ha più volte temuto di non essere all’altezza del compito e del cast, soprattutto della bravissima Kasia Smutniak, e ancora sembra chiedersi se lo è stato. La mia risposta è: “sì”. Trovo che la sua recitazione sia stata intensa e sempre credibile, e che lui abbia una presenza scenica notevolissima, favorita anche da una vaga somiglianza con Gian Maria Volontè (ma Arca è più bello). Per me Arca ha tutte le carte in regola per diventare un attore a tutti gli effetti. E mi intristisce un po’ leggere qua e là nelle recensioni e nei commenti sul film che in molti, come la Elena del film, neghino questa crescita in atto e si ostinino a vederlo – manco fosse un gravissimo e incancellabile peccato – come un semplice “tronista”, senza testa e senza speranza.

  3. claudio lupi scrive:

    Tutti siamo consapevoli di quanto sia importante che le immagini vengano corredate da musiche il più possibile rappresentative. In questo senso, è come se ascoltando solo la musica, potessimo avere un’immagine mentale simile a quella che ha pensato il regista; così capovolgiamo il cinema e parliamo della colonna sonora di “ALLACCIATE LE CINTURE” che ho comprato e scaricato oggi per ascoltarla meglio, poiché durante la proiezione non riusciamo mai ad “ascoltare” veramente la musica ma solo a “sentirla” come parte adesa alle sequenze, ai drammi, alle vicende.

    Pasquale Catalano, non è certo l’ultimo arrivato in fatto di cinema e anche questa volta è riuscito nel compito di sostenere le sequenze con dell’appropriata musica degna dei migliori compositori italiani di musica per cinema.

    Film come questi sono meno difficili da musicare, come tutti o quasi i film dove si consumano drammi di vita, dove la riflessione degli attori e la loro malinconia e/o disperazione emergono, bucano lo schermo, ci toccano, ma Catalano non si è fatto tentare, a parte un paio di temi, da una facile composizione benchè il tema principale non sia poi così tanto originale.

    Analizzando solo i temi scritti da Catalano:

    In questo film, l’uso di un impasto orchestrale ben equilibrato è di tutto rispetto. Nelle armonie, che spesso sostituiscono/camuffano una vera linea melodica, vi è l’uso di molte voci di arco con molte ma veramente molte eccedenze, ovvero “abbellimenti armonici” ed intrecci. Questo viaggiare ampio con grida di viole e violini ad intervalli ravvicinati è di grande effetto ed emozione specialmente nel Tema di Antonio.

    Catalano usa saggia coerenza anche nel rappresentare con due temi praticamente uguali, due momenti molto distanti tra loro “Bar Tarantola” e “Benzinaio” attribuendo al primo tema una sonorità ed esecuzione “immatura e giovane” che si trasforma in modo più composto e maturo nel secondo (13 anni dopo).

    Grande prova di drammaticità nel tema di Elena malata con un giro armonico basato su quattro accordi che si ripetono istericamente con cadenza lenta arricchendosi sempre più (la cadenza ricorda i brani funebri di Chopin).

    Nel Tema di Elena, e nelle sue variazioni, Catalano scrive una cosa curiosa; la percezione è che il tema sia “spostato in avanti” (da 1.00 a 1.58). Pur essendo un giro strausato in musica, l’Artista lo rende inusuale posticipando ed esaltando con molta saggezza l’ultima nota della scala melodica nella battuta successiva; questo avviene specialmente in una di queste scala che “sembra” contenere troppe note e quindi “costretta” a sconfinare oltre (da 0.45 a 0.50 e da 2.52 a 2.58). All’ascolto complessivo dello spettatore risulta qualcosa di non risolto, non liberatorio, benché ci siano tutti gli elementi armonici per la “chiusura”.

    È nel tema di Elena, e variazioni annesse, che troviamo l’unica linea melodica logica ancorché strutturata come dicevamo.

    Proprio perché la storia d’amore non è usuale e lascia aperte molte porte rispetto alla Classica ed esclusiva o elusiva storia d’amore, anche la colonna sonora sembra piegarsi alla volontà sommaria della storia aggiungendo ad una melodia di base Classica, elementi che di poco la destabilizzano e le danno un’impronta mista tra il “rimanere” e “l’andare” (vivere o morire), tra la “stabilità” e una “libertà inconfessata” (La vita con Antonio o la separazione).

    Quei pochi ma pensati innesti melodici “diversi” sono la bellezza dell’intero Tema musicale di Elena, ancorché, nella storia, rappresentano il suo dolore.

    Bravo Pasquale Catalano!

    http://youtu.be/LpWJAxKSpZg

  4. Cristina Bellosio scrive:

    Sono molti i film che ho amato di Ozpetec, da “Saturno contro” a “La finestra di fronte”, da “Cuore sacro” a “Mine vaganti”. Quest’ultimo film “Allacciate le cinture”, invece, mi è sembrato non noioso, anzi a tratti divertente, ma privo di profondità. Che cos’altro è questa pellicola se non un melò sentimentale, in cui si mescolano commedia e dramma, popolato da personaggi che condensano in sè luoghi comuni a profusione. Tra questi ultimi il film sembra volerci suggerire che la ricetta dell’amore è la logica dell’attrazione degli opposti : la protagonista è la bella ragazza borghese, determinata a far carriera, che si innamora del prestante macho palestrato e tatuato, incolto e persino dislessico. Intorno a questi personaggi stereotipati ruotano tante figure caricaturiali, alcune anche decisamente fuori luogo, come la bambina maestrina odiosa, che, di fronte alla malattia della madre, ostenta saggezza. Alla banalità dei personaggi si aggiunge la totale banalità dei dialoghi tra i personaggi. Ozpetek vuole parlare dell’amore etero e di come questo amore possa soppravvivere alle difficoltà della vita : si dilunga nella narrazione di una bella favola d innamoramento adolescenziale, ma non sa parlare con profondità e ricchezza della pienezza dell’amore maturo..

  5. Cristina Ruggieri scrive:

    Si apre con una citazione da “Bianca” di Nanni Moretti questo dolcissimo film di Ozpetek. Perchè in fondo Allacciate le Cinture è una risposta al totalitarismo amoroso di Nanni in quel film. Gli amori raccontati da Ozpetek sono imperfetti, vitali, mobili, mai esclusivi. Lasciano sempre spazio ad altro, perchè, e io concordo totalmente, un’ unica persona non può rappresentare tutto nella vita di un’altra. Bellissimo il contrasto, che anche complementarietà, tra Antonio e Fabio. Ed è grazie al rapporto con Fabio, che assicura affetto costante, che Elena riesce a vivere a pieno l’ amore passionale e turbolento con Antonio.
    Bellissima è anche la rappresentazione del macho, che Ozpetek restituisce con una tenerezza degna dei migliori Almodovar. Bellissima è la scelta di raccontare attraverso i primi piani sui personaggi, un po’ come Kechiche nella vie d’Adèle. Bellissimo è anche il contrasto tra la vita piena d’amore di Elena e quella piena di sesso e solitudine di Antonio.
    Insomma non c’è nulla in questo film che non mi sia piaciuto. E’ Ozpetek al 100%, e io lo amo.

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