Arriva nelle sale milanesi, “Mózes, il pesce e la colomba” della giovane regista ungherese Virág Zomborácz (titolo originale Utóélet), vincitore del Bergamo Film Meeting 2015.
Il film è una commedia surreale e brillante.
Il giovane protagonista è assillato dal fantasma del padre appena morto, un pastore protestante autoritario e ingombrante. Il tema della morte, dell’elaborazione del lutto, del disagio psichico e del rapporto genitori-figli viene raccontato con profondità e allo stesso tempo con ironia e leggerezza: Mózes porterà a termine le opere lasciate in sospeso dal padre per liberarsi del suo fantasma, riconciliandosi con la figura genitoriale, dopo aver tentato di scacciare la scomoda presenza con imprese bizzarre e alleati strampalati.
Francesco Rizzo ha visto per Amicinema il film ed ecco le sue impressioni:
“Imparare a prendersi cura dei propri fantasmi: se non amarli, perché è impossibile, provare almeno compassione per loro. In fondo, il ricordo perenne di una madre o di un padre che ci avrebbero voluto un pochino diversi da ciò che siamo e che sembrano sempre seguirci, ammonirci, tormentarci, costringe a fare i conti con noi stessi, a capire veramente chi vogliamo essere.
Magari, qualcuno di completamente diverso rispetto alle attese dei genitori. Oppure, semplicemente, ciò che già siamo. La riflessione nasce da “Mozés, il pesce e la colomba” (premiato al Bergamo Film Meeting), commedia nera e agnostica della ungherese Virag Zomboracz: è la storia di formazione di un ragazzo di campagna che ha studiato teologia e deve fare i conti con un padre, pastore protestante, rigido e ansiogeno, convinto di dover scuotere un figlio troppo debole (e persino vegetariano!).
Ma lui, il giovane Mozes, con quel sorriso amaro a metà fra Buster Keaton e Steve Buscemi, non ha ancora scelto il suo posto nel mondo e quando papà muore – mandando in frantumi il dio di casa, in una sequenza in cui il lutto è risolto da un brillante montaggio – non può dirsi libero: l’uomo torna, sotto forma di fantasma che solo Mozes vede e che lo pedina ovunque. Quasi come la mamma di Woody Allen nel migliore episodio di “New York Stories”, ma in questo caso non c’è l’umiliazione pubblica perché lo spettro appare solo al protagonista. Ed è un uomo smarrito, non una signora dalla lingua tagliente, spalmata sopra Manhattan.
Il giovane cercherà dunque di capire cosa voglia da lui papà – perché forse, oltre quell’ostacolo, c’è la sua vita – destreggiandosi tra una madre che si era già sepolta nell’ombra del marito, una zia ipocrita e vorace, una comunità che pratica tre sport: il tiro al piattello, la religione con esiti grotteschi e i pettegolezzi ma solo sottovoce (“l’esistenza sociale è più forte dell’ego”, predicava il pastore defunto).
L’ironia del film nasce dalla presenza del padre fantasma nelle situazioni più bizzarre ma anche dai non sempre efficaci tentativi di Mozes di continuare l’attività pastorale del genitore e di trovare un ruolo in un ambiente in cui tutti sembrano avere obiettivi, modesti, ma precisi. Il protagonista è come il pesce nella boccia di plastica, uno dei tormentoni che attraversano la pellicola: sopravvive ma non naviga. Navigherà, a un certo punto e a noi toccherà forse un’altra lezione: accettando i nostri fantasmi, è possibile che loro stessi ci accettino. Non stiamo andando dove loro avrebbero voluto? Poco importa. Persino la deriva conduce da qualche parte.”
A Milano troverete questo film al cinema Beltrade dal 25 febbraio e all’anteprima sarà presente anche la regista Virág Zomboràcz, alle ore 18.00 e 21.40.
Per chi vuole saperne di piu’ ecco il trailer ufficiale.