Dopo aver sorpreso, spiazzato e conquistato il pubblico dell’ultima edizione della Festa del Cinema di Roma, arriva in sala il 24 marzo grazie a Notorious Pictures, “Land of Mine“, del regista danese Martin Zandvliet (A Funny Man, Applause).
Inserito nella top ten dei film da non perdere nel 2016 – secondo il LA Weekly – Land of Mine, partendo dal racconto di un amaro e poco conosciuto capitolo della seconda guerra mondiale, diventa un viaggio inaspettato, emozionale ed introspettivo, grazie anche all’intensa interpretazione dei suoi giovani protagonisti.
Il film racconta di un frammento di storia ancora sconosciuto a molti. Nei giorni che seguirono la resa della Germania nazista nel maggio del 1945, i soldati tedeschi in Danimarca furono deportati e vennero messi a lavorare per quelli che erano stati i loro prigionieri. Obiettivo rimuovere le 2.000.000 di mine posizionate dalle truppe tedesche sulle coste danesi. Incredibilmente attento e delicato, il film racconta il desiderio di vendetta, ma anche il ritrovamento del senso di umanità di un popolo dilaniato dalla guerra e fa luce su questa tragedia storica, raccontando una storia che coinvolge l’amore, l’odio, la vendetta e la riconciliazione.
Lo spazio adesso a Francesca Felicini che ha visto in anteprima questo film:
“Arriva nelle sale italiane il film danese che ha commosso il pubblico e la critica dell’ultimo Festival del cinema di Roma. Il regista Martin Zandvliet (al suo secondo lungometraggio dopo l’apprezzato “Applause”, del 2009) racconta uno degli episodi più bui della storia del suo paese, e tra i meno noti della Seconda Guerra Mondiale: dopo la resa della Germania, nel maggio ’45, i prigionieri di guerra tedeschi detenuti in Danimarca furono messi al lavoro dagli Alleati, “scontando” così in qualche modo la colpa collettiva del popolo tedesco, per “riparare” agli orrori del regime nazista.
Senza nessuna esperienza come artificieri, i prigionieri furono quindi impiegati per disinnescare più di due milioni di mine di cui era stata disseminata la costa occidentale della Danimarca per volere del Reich, che attendeva da quel versante l’invasione alleata.
Il regista fa luce su questa tragedia storica, scegliendo come protagonisti del suo film quattordici giovanissimi (“sono solo ragazzi”, continua a ripetere il tenente incaricato della loro sorveglianza), incaricati appunto dello sminamento di uno dei tratti della costa.
Il compito, apparentemente senza fine, diventa rapidamente una carneficina, e lo splendido scenario delle assolate spiagge di sabbia bianca – valorizzato da un’ottima fotografia – fa da sfondo e contrasto alla disumana impresa dei ragazzi, costretti a strisciare nella sabbia, affidando la vita alla capacità di un bastoncino di individuare le mine da disinnescare.
Inizialmente i loro volti sembrano tutti uguali – sporchi e imberbi e dagli occhi sgranati dalla paura – ma via via ne distinguiamo le singole personalità, mentre i giorni passano, e la fame (parte del “sacrificio” loro imposto è anche quello di non ricevere cibo) e la fatica immane aumentano: tra di loro, il “leader” “Sebastian, il cinico Helmut, gli inseparabili gemelli Ernst e Werner.
Sono disposti a sacrificarsi l’uno per l’altro, ma sono anche spaventati e pronti a scappare quando il primo compagno resta mutilato da una deflagrazione; pronti a rischiare la vita per salvare una bimba danese finita per sbaglio in una zona non ancora sminata, ma anche pronti a legare uno di loro per impedirgli di fuggire e far punire tutto il gruppo.
Il co-protagonista del film – e quello il cui cambiamento di atteggiamento determina lo svolgersi della vicenda – è il sergente Rasmussen: spietato, freddo, insensibile a ogni preghiera e richiesta da aiuto, addestra sommariamente i ragazzi e fa marciare la sua squadra sulle dune ogni giorno, implacabilmente. Ma gli sguardi puliti e l’arrendevolezza delle sue “vittime” fanno via via breccia in lui e gli generano un conflitto di sentimenti. A poco a poco cambia atteggiamento, trovando modo di procurare del cibo, addirittura concedendo un’intera giornata “di svago” e regalando una partita di improvvisato pallone. La morte del suo adorato cane – che salta su una mina in una zona che avrebbe già dovuto essere “sicura” – riscatena però la sua originale spietata cattiveria, ma solo per
poco: l’empatia con i ragazzi si rinnova quasi subito, e questo provoca un insanabile attrito con i suoi superiori dell’esercito danese, con le conseguenze che porteranno al finale del film.
Il film si fa apprezzare innanzitutto perché –oltre a farci conoscere quest’episodio storico poco noto – ce lo narra con un linguaggio cinematografico molto efficace: oltre all’ottima fotografia, si apprezzano i drammatici primi piani sottolineati dalla improvvisa “sparizione” del sonoro, che creano un effetto come di apnea, e le riprese quasi in soggettiva che creano un forte impatto empatico e drammatico. La narrazione è insomma ben costruita e genera una tensione costante, pur o forse grazie all’omissione di troppe immagini esplicite.
Non riesce però del tutto ad evitare di cadere in una certa retorica di maniera: indugiando un po’ troppo prevedibilmente sui drammi personali, su alcune caratterizzazioni un po’ banali (ma perché i visi dei ragazzi rimangono sempre sporchi anche quando il sergente consente loro di lavarsi…?),
e soprattutto rendendo poco credibile il troppo repentino e insistito cambio di atteggiamento del sergente.
Inserito nella top ten dei film da non perdere nel 2016 – secondo il LA Weekly – è stato selezionato nei più prestigiosi festival mondiali, è un film comunque da vedere.”
Già best-seller nazionale alla sua prima settimana di programmazione, il film ha inaugurato con successo la nuova sezione Platform del TIFF ed è stato selezionato nei più prestigiosi festival mondiali, vincendo l’Audience Award al Festival del Cinema di Gijón e conferendo a Roland Møller e Louis Hoffman il premio di Migliori Attori protagonisti al Tokyo Film Festival.
E per farvi un’opinione sulla pellicola ecco l’intenso trailer italiano: