Un piccolo grande film da non perdere

Dal prossimo giovedi’ 24 marzo (al Beltrade di Milano) arriva in sala “La canzone perduta” del giovane regista curdo-turco Erol Mintas, con la distribuzione di Lab 80 film.

 

Vincitore di diversi premi internazionali, tra cui il Sarajevo Film Festival 2014 come Miglior film, il lungometraggio racconta la quotidianità di Ali, brillante e giovane maestro curdo, e della sua anziana madre, Nigar. Costretti a lasciare il proprio villaggio negli anni Novanta, i due si sono trasferiti nell’estrema periferia di Istanbul: un deserto di cemento che accoglie numerosi rifugiati curdi.


 

Ali insegna, scrive libri e ha una relazione con una ragazza. Sua madre invece non si rassegna alla nuova vita ed è tormentata dal desiderio di tornare al villaggio: prepara ripetitivamente i bagagli per partire, convinta che amici e vicini abbiano già lasciato Istanbul per tornare alle origini, e spesso vaga per la città. Ali cerca di spiegarle che nessuno ha fatto ritorno, si prende cura di lei affettuosamente e fa di tutto per cercare la vecchia canzone tradizionale che lei desidera tanto ma che nessuno sembra conoscere. Quando la sua fidanzata resta incinta, il desiderio di inserirsi e affermarsi nella realtà turca di Ali e il richiamo alle origini rappresentato dal tormento di sua madre sembrano diventare inconciliabili.

 

Un film delicato e allo stesso tempo forte, in cui la questione curda resta sempre sullo sfondo ma è evidentemente origine di tutti i problemi che i protagonisti vivono. Al centro il tema della lingua: portatrice di identità e tradizione per un popolo a lungo costretto a rinnegarla.

 

Francesco Rizzo ha visto per noi in anteprima il film ed ecco il suo commento:
 
“La canzone perduta” è un film costruito su piccoli gesti. Sono le azioni quotidiane mostrate sullo schermo a definire il ruolo dei personaggi, il momento della loro vita, le loro aspirazioni. Ci troviamo nella comunità curda di Istanbul, nella Turchia in cui basta una “soffiata” – come illustra una scena emblematica per semplicità ed efficacia – perché i poliziotti si mettano a frugare persino tra i libri dei ragazzini. Nigar è nell’autunno della vita, si sente prigioniera, vorrebbe tornare nel villaggio dove affondano le sue radici: passa il giorno a combattere un emblematico mal di testa, a preparare bevande e ricette da contadini (ma qui il sole passa attraverso le finestre di un palazzone), a mettere in valigia le foto di famiglia per tornare a casa, ammesso ci sia ancora una casa.

Suo figlio Alì, insegnante, attraversa la città in motorino per dividersi fra la scuola turca e quella curda, scrive un libro che non finisce mai, cerca di placare i tormenti della madre, potrebbe metter su famiglia ma ciondola al bivio fra due identità. In altre parole, Nigar e Alì sono sospesi, proprio come il loro popolo senza terra.
“La canzone perduta” non è esplicitamente un film sulla questione curda, tanto attuale e drammatica nello scenario mediorientale di oggi quanto complessa per la stessa frammentazione di questo popolo. Ma il tema è ben chiaro sullo sfondo di un’opera intensa, delicata ed essenziale – vincitrice di molti premi – in cui il giovane regista Erol Mintas, curdo cresciuto in Turchia, mette al centro il tema della lingua come fonte di memoria. La pellicola si apre e si chiude con un racconto che sembra una metafora e – almeno nella versione originale – alterna il turco al curdo, sottolineando lo sdoppiamento di chi vive in un Paese in cui ti possono controllare i documenti anche mentre insegni. Vagando per le strade, l’anziana Nigar cerca una canzone popolare che le ricorda il passato, altro simbolo di una cultura che sembra scomparire come le case di Tarlabasi, quartiere di Istanbul abitato da molti curdi, quello che Erdogan definì “il cancro della città” e che l’amministrazione vuol azzerare in un maquillage che sa di pulizia sociale. Troverà quella canzone? Alì deciderà che fare della sua vita? La risposta in un finale che sembra chiudere il cerchio. Ma forse ci ricorda solo di ricordare.”

 

Dice invece il regista Erol Mintas: «Sono un curdo cresciuto in Turchia negli anni Novanta, quando tutti i legami dei curdi con la loro lingua materna erano stati tagliati. Per me, mia madre è stata di fondamentale importanza per mantenere viva la mia lingua. Mi raccontava tante storie e forse questo mi ha fatto sentire il bisogno di fare lo stesso. Ci sono molte persone come la madre di Ali, che hanno dovuto lasciare le loro case. Da questo è nata l’idea del film».

 

Ecco il trailer italiano per un film secondo noi davvero da non perdere !!

 


 

Questa voce e' stata pubblicata in Di tutto un po' e contrassegnata con .

Lascia un Commento