Esce nelle sale italiane “Safari” (a Milano al cinema Beltrade), l’ultimo film del regista austriaco Ulrich Seidl, presentato in anteprima alla 73esima Mostra del Cinema di Venezia (fuori concorso).
Al cinema da venerdì 1 settembre 2017, con la distribuzione di Lab 80 film, Safari è un racconto lucido e tragico sulle attività di caccia che ricchi turisti austriaci e tedeschi compiono in Africa, in particolare sul confine tra Namibia e Sudafrica.
A caccia di zebre, giraffe e gnu, i turisti-cacciatori si appostano, cercano, avvistano, sparano e gioiscono delle prede abbattute, posando nelle immancabili foto “trofeo” con gli animali morti. Seidl accompagna i suoi protagonisti nelle battute di caccia, raccontando perfettamente non solo le dinamiche della caccia ma anche gli stati d’animo che i cacciatori vivono, con la tensione quasi libidica che anticipa l’avvistamento e il rilascio nervoso ed euforico che segue l’uccisione. Ma il regista non fa solo questo: registra i racconti delle persone di cui documenta le “vacanze per uccidere”, facendole parlare del rapporto che hanno con l’Africa, di vita, di morte. Seduti di fronte alla telecamera, giovani coppie, anziani pensionati e famiglie parlano di se stessi, delle loro idee e della loro passione per la caccia dei grandi mammiferi.
È così che Safari diventa non solo un film sulla caccia ma anche e soprattutto un film sull’idea di uccidere: un racconto senza sconti né censure sulla realtà che il regista, col suo stile preciso e diretto, ha scelto di osservare.
Francesco Rizzo ha visto per Amicinema questo film e sentiamo allora subito il suo commento:
“Lo spolpamento dell’Africa ad opera degli occidentali in un film metafora in cui, però, la pratica concreta di spolpare, immergendo (letteralmente) le mani nel sangue e nelle viscere, viene riservata ai neri. Quelli che hanno voglia di lavorare, aggiungerebbe probabilmente la proprietaria (bianca) del resort fra Namibia e Sud Africa dove tutto è ambientato. Ulrich Seidl, 64enne regista viennese, premiato a Venezia nel 2001 per “Canicola” – raggelante ritratto di una periferia piccolo borghese in cui il solo, vero scandalo è la desolazione umana – aveva già raccontato l’ab-uso dell’Africa in “Paradise: Love”, del 2012. In quel film, signore austriache non più verdissime sbarcavano in Kenya in cerca di sesso, sfruttando e facendosi sfruttare. Qui, invece, Seidl ritrae un mondo di turisti abbastanza ricchi da andare a caccia di animali selvaggi – o che loro ritengono ancora selvaggi – in una riserva gestita da un connazionale, molto convinto di fare un favore a un continente che considera politicamente arretrato e a una natura che, per lui, potrebbe fare a meno dell’uomo. Ma, finché c’è, l’uomo vuole provare il brivido della caccia e paga bene: e così, in questo zoo-safari punteggiato di belve impagliate e borghesi vestiti come gli esploratori nei film su Tarzan di 70 anni fa, compaiono (veri) austrici di ogni età. La signora che ci tiene a colpire il bersaglio con precisione, il padre che vive il primo animale ucciso dal figlio come un rito di passaggio verso l’età adulta (tipo la patente o il primo bacio), l’anziano che trascina chili in eccesso e lattine di birra in un rifugio mimetizzato dal quale, si direbbe, non riuscirebbe a colpire nessuna delle belve che si aggirano là fuori. Tra l’altro, tutte dalle movenze molto più elastiche di lui.
Seidl lascia parlare soggetti ignari di apparire tragicomici, anche perché recintati in inquadrature fisse che sottolineano quanto l’Africa dei romanzi d’avventura sia qui fasulla, recitata, fotocopiata, un po’ come l’Egitto negli hotel sul Mar Rosso, ma anche Taormina che ormai è la messa in scena di Taormina: il viaggio esotico degli occidentali cerca rassicuranti luoghi della fantasia, della fiction, non profumi e miasmi della realtà.
Contemporaneamente, il regista filma le battute di caccia con la macchina da presa in movimento e coglie le emozioni (trattenute o palpabili) di chi considera gratificante abbattere una giraffa o una zebra, i commenti degni di videogiocatori che hanno deciso di ammazzare per davvero (ma senza rischiare nulla), i ritratti posati accanto alla preda, da esibire fra amici sui social. L’agonia di un animale colpito ma non ancora spirato non induce nessuna riflessione a chi fa fuoco e questo è un altro tema del film: il gusto è uccidere per uccidere (“non senti più nulla, sei concentrato solo su una cosa”, confida l’ospite del resort come se parlasse dello yoga), godere di essere più forti dell’animale pericoloso in un mondo fintamente pericoloso. Poi, si scatta una foto con lo smartphone. Del lavoro sporco si occuperanno gli inservienti di colore che, nel tempo libero, fanno giochi da cortile: ciascuno ha il divertimento che la storia gli ha assegnato e tutto appare fin troppo simbolico. In un’intervista di qualche anno fa, Seidl spiegava: “Il peccato non è nell’occhio dello spettatore. Ognuno subisce un assalto o è commosso, disturbato, dipende: non sono io che rendo il mondo brutto, io porto le brutte notizie e ritengo che, attraverso il riconoscimento della verità, avvengano il cambiamento e la speranza”. Appunto.”
Sentiamo anche velocemente il commento dello stesso Seidl:
“Mi sono messo in viaggio per scoprire e mostrare cosa motiva tante persone a cacciare e come questa attività possa diventare un’ossessione. Ma durante la lavorazione il film è diventato anche un film sul concetto di uccidere: uccidere per il piacere di farlo senza essere mai davvero in pericolo, uccidere come una sorta di liberazione emotiva. Conoscevo cacciatori che uccidevano ma non coppie e famiglie che si baciano e congratulano tra loro dopo l’uccisione. L’atto di uccidere sembra per loro un atto libidico”.
Se siete interessati allora spendete 5 minuti del vostro tempo e guardate il trailer di questo film !!