Forse il nome del regista non dirà molto, ma Samuel Maoz e’ uno dei vincitori del Leone d’Oro di Venezia del passato.
Infatti nel 2009 il suo ottimo “Lebanon” (nato dalla sua esperienza a 20 anni come soldato in uno dei primi carri armati che entrarono in Libano durante l’invasione di Israele in Libano nel 1982) vinse il premio come miglior film.
Alla scorsa edizione invece “Foxtrot” si e’ aggiudicato Gran Premio della Giuria al Festival, comunque un ottimo risultato.
Grazie ad Academy Two adesso dal 22 marzo anche noi potremo vedere questa sua ultima fatica, la danza di un uomo con il suo destino, una parabola filosofica che analizza il concetto misterioso di fato attraverso la storia di un padre e di un figlio, fisicamente lontani ma che nonostante la distanza riusciranno a cambiare l’uno il destino dell’altro.
Quando degli ufficiali dell’esercito si presentano alla porta di casa e annunciano la morte del figlio Jonathan, la vita di Michael e Dafna viene sconvolta. Tutto appare incredibile e forse lo è: qualcosa di terribile è accaduto nell’isolato posto di guardia in cui il ragazzo prestava servizio sotto le armi – ma cosa, come, quando e perché? Tre atti, fra squarci di rabbia e lampi di ironia surreale, in cui la verità si avvicina beffarda a passo di danza ma il destino conserva per ultimo il suo scherzo più crudele.
Sentiamo le belle parole del regista israeliano sui concetti base di questo film:
“Einstein diceva che le coincidenze sono il modo che Dio usa quando vuole restare anonimo. Foxtrot è la danza di un uomo con il suo destino.
È una parabola filosofica che analizza il concetto misterioso di fato attraverso la storia di un padre e di un figlio, che sono fisicamente lontani ma che nonostante la distanza e la separazione riusciranno a cambiare l’uno il destino dell’altro e di conseguenza i destini di entrambi.
La sfida per me è stata affrontare il divario tra le cose che possiamo controllare e quelle che sfuggono al nostro controllo.
Ho scelto di costruire la storia come una tragedia greca classica in cui l’eroe è causa della sua punizione e lotta contro quelli che vorrebbero salvarlo.
Ovviamente non è consapevole delle conseguenze a cui le sue azioni condurranno. Al contrario è convinto che il suo modo di agire sia corretto e razionale.
Questa è la differenza tra una coincidenza casuale e una coincidenza che sembra far parte di un piano del destino.
Il caos è organizzato. La punizione corrisponde alla colpa nella forma esatta.
C’è qualcosa di classico e circolare in questo processo e c’è anche l’ironia che spesso è associata al destino. La struttura di una tragedia greca in tre atti mi è sembrata la forma drammatica ideale per contenere le mie idee.
Volevo raccontare una storia che potesse essere rappresentativa della crudele realtà in cui noi viviamo. Una storia che avesse un valore personale e universale. Una storia di due generazioni – la seconda e la terza, figlie dei sopravvissuti all’Olocausto – che continua a rivivere quel trauma durante il servizio militare. Siamo obbligati a continuare a sopportare questa situazione traumatica senza fine e parte di questa potrebbe essere evitata.
Un dramma su una famiglia che va in pezzi e si riunisce. Un conflitto tra amore e senso di colpa; un amore costretto a convivere con un grande dolore emotivo. Come nel mio film precedente, Lebanon, volevo continuare ad indagare, in un modo intenso che combinasse sguardo critico e compassione, le dinamiche umane in un ambito chiuso.
Il film ha una sequenza in cui vedi un schermo di un computer con un necrologio e poi una ciotola con delle arance. Questa immagine è la storia del mio paese in poche parole, arance e soldati morti.
Quando mia figlia più grande frequentava la scuola superiore non si svegliava mai in tempo ed era sempre in ritardo, così mi chiedeva di prendere un taxi.
Questa abitudine ci è costata un sacco di soldi e mi è sempre sembrata diseducativa. Una mattina mi sono arrabbiato e le ho imposto di prendere l’autobus come facevano gli altri. Ho pensato che se non avesse imparato sarebbe stata sempre in ritardo. Forse in questo modo avrebbe imparato il duro impegno di alzarsi in tempo. Il suo autobus era la linea 5. Mezz’ora dopo che era uscita di casa, un sito di news aveva pubblicato la notizia che un terrorista si era fatto saltare in aria sulla linea 5 e che erano rimaste uccise una dozzina di persone. Ho provato a chiamarla sul cellulare ma il suo telefono era irraggiungibile perché si era verificato un sovraccarico nelle linee.
Mezz’ora dopo mia figlia è tornata a casa. Era arrivata in ritardo e aveva perso il bus che era esploso poco dopo. Aveva visto l’attentatore lasciare la stazione e prendere l’autobus. Mi sono sentito fortunato di avere ancora una figlia…”
E se siete incuriositi ecco il bellissimo trailer di “Foxtrot”, un film che vi consigliamo assolutamente di vedere !!