“Une saison en France” apre il 28o Festival del Cinema Africano, d’Asia e America Latina

Il 28o Festival del Cinema Africano, d’Asia e America Latina riapre i battenti questa sera e durerà dal 18 al 25 marzo come vi abbiamo raccontato in questo articolo.

 

Questa alle ore 20.30, all’Auditorium San Fedele ci sarà l’anteprima italiana di “Une saison en France“, l’ultimo attesissimo film di una vecchia conoscenza del festival: Mahamat Saleh Haroun. Anche in Francia i temi dell’immigrazione continuano ad ispirare i registi e il celebre cineasta ciadiano dà il suo contributo alla causa. Nel suo primo film girato in Francia, racconta infatti un dramma intimo affrontando la questione scottante dei richiedenti asilo senza retorica né cliché mediatici, grazie anche all’interpretazione intensa e senza sbavature di Eriq Ebouaney e Sandrine Bonnaire.


 

Per incuriosirvi ecco la recensione di Anna Baisi di questo film:
 
“Il film di apertura del ventottesimo Festival del Cinema Africano, d’Asia e America Latina è “Une saison en France” del bravo e famoso cineasta ciadiano Mahamat Saleh Haroun che ne ha curato anche la sceneggiatura.
Primo film dell’artista ambientato in un altro Paese, la Francia, che gli è funzionale per trattare il tema dell’immigrazione ed i suoi drammi e prendere di petto le meccaniche sociali e politiche ad essa correlate.
Il protagonista Abbas (Eriq Ebouaney) infatti è riuscito a fuggire da Bangui, capitale della Repubblica Centrafricana, dopo lo scoppio della guerra civile e ha trovato temporaneo rifugio nella periferia di Parigi.
 
Qui, nonostante la morte della moglie avvenuta nella fuga e seppur convivendo con il fantasma di lei, conduce una vita quasi serena con i due figli, la più piccola di otto anni e il più grande di dodici, svolge un lavoro al mercato ortofrutticolo e fra diverse abitazioni in cui viene ospitato cerca di costruirsi una nuova vita e soprattutto una nuova “casa” dove poter mettere radici e ritrovare una sicurezza non solo economica.
Insieme a lui è compagno di condizione di profugo il fratello Etienne che lavora come guardia giurata e che vive in uno squallido capanno dove gli unici amici sono gli amati libri perché lui era un professore di filosofia come peraltro Abbas insegnante di una scuola superiore.
Se i problemi più urgenti in qualche modo vengono tamponati quello che rimane un nervo scoperto è quello della propria dignità di uomo che in un mondo ostile ed estraneo viene calpestata e per entrambi è difficile interagire con gli altri o vivere con armonia una storia d’amore perché l’insicurezza dettata dai diritti negati, dalla percezione che il Paese ospitante ti senta nemico o non riesca nemmeno a tollerarti creano sfiducia e/o disperazione.
I fantasmi del passato diventano incubi del presente perché la guerra da cui sono fuggiti si ripropone qui nella diversa forma del rigetto del clandestino e nella lotta quotidiana alla sopravvivenza e quando ad Abbas viene rifiutata la richiesta di asilo la fuga sembra l’unica via di uscita.
Nonostante Abbas abbia trovato in Carole (Sandrine Bonnaire) un amore sincero che potrebbe evolversi ed anche Etienne vive una storia sentimentale entrambi sentono che non è possibile vivere un’intimità senza sicurezza, una dimensione umana senza dignità, e sceglieranno di abbandonare in modi “diversi” il Paese perché stanchi di combattere una partita persa contro i pregiudizi di chi non li considera esseri umani ma solo clandestini da estirpare dalla società anziché empaticamente accogliere.
 
Film politico e di denuncia ma girato anche con toni intimistici con sprazzi di vita “normale” intorno ad un tavolo con una torta per festeggiare un compleanno che cercano di equilibrare la violenza e i conflitti sociali a cui la loro posizione di senza Terra li espone.
Il regista Mahamat Saleh Haroun, già vincitore di premi al Festival di Venezia ed a quello di Cannes, rispettivamente con “Daratt” e “Un homme qui crie”, mette in scena l’immigrazione con un melodramma dolce ma anche spietato che a chi come me crede profondamente nell’integrazione come segno di civiltà e umanità tocca nell’intimo.
Il finale non certo conciliante lascia un forte malessere quando ci si rende conto che la realtà francese è anche quella nostrana: è universale e quella richiesta di asilo respinta è una negazione ad un essere umano in condizione disperate alla vita e la Storia di oggi non è molto diversa da quella di ieri: nessun progresso umano, la stessa intolleranza verso la diversità e nemmeno genocidi o pulizie etniche sono riusciti ad insegnarci qualcosa né ci hanno cambiato la mente e il cuore.
Fanno riflettere le parole del regista che con questo film ci vuole scuotere dal nostro torpore umano e civile per mostrarci una via possibile:
 
“Il cinema oggi non fa che mostrare l’estraneità dello straniero e ci dice che dobbiamo “tollerarlo” malgrado la sua diversità. Il mio desiderio in questo film era quello di ricondurlo ad una dimensione comune, per mostrare che c’è realmente qualcosa che si può condividere”. M. S. Haroun”

 

E come sempre finiamo con il trailer ufficiale (per ora solo in lingua originale) !!

 


 

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