“Orecchie” e’ stato un piccolo caso nel cinema italiano… passato al festival di Venezia in una delle sezioni collaterali ha avuto subito un ottimo riconoscimento dalla critica e grazie al passaparola del pubblico, con una distribuzione praticamente nulla, ha avuto alla fine un buon successo.
Alla regia c’era il romano Alessandro Aronadio che ritroviamo in un’altra divertente commedia (anche se meno surreale della precedente).
“Io c’è” e’ interoretato da un ottimo cast tutto italiano con Edoardo Leo, Margherita Buy, Giuseppe Battiston, Giulia Michelini e Massimiliano Bruno.
Massimo Alberti (Edoardo Leo) è il proprietario del “Miracolo Italiano”, bed and breakfast un tempo di lusso ridotto ormai ad una fatiscente palazzina.
La crisi che ha messo in ginocchio l’attività sembra non aver scalfito i suoi dirimpettai, un convento gestito da suore sempre pieno di turisti a cui le pie donne offrono rifugio in cambio di una spontanea donazione. Esentasse. Ecco l’illuminazione di cui Massimo aveva bisogno: se vuole sopravvivere deve trasformare il “Miracolo Italiano” in luogo di culto. Ma per farlo deve prima fondare una sua religione.
È la genesi dello “Ionismo”, la prima fede che non mette Dio al centro dell’universo, ma l’Io. Ad accompagnare Massimo nella sua missione verso l’assoluzione da tasse e contributi la sorella Adriana (Margherita Buy), inquadrata commercialista, e Marco (Giuseppe Battiston), scrittore senza lettori e ideologo perfetto del nuovo credo. Preparatevi ad essere convertiti!
Sentiamo allora le parole del regista su questo film:
“Padre Giancarlo: L’altro giorno mi chiamano due signore (…). Mi dicono che a casa loro è improvvisamente comparsa l’immagine della Madonna. (…) Alla fine vado. Mi portano davanti a una parete scrostata, e mi dicono: Eccola. E si inginocchiano.
Lui: E che cos’era?
Padre Giancarlo: Una macchia di muffa. Ma palesemente una macchia di muffa. Ma io gli ho detto: Sì, sì, è la Madonna. L’ho benedetta. E sai perché?
Lui: Perché?
Padre Giancarlo: Perché gli ho regalato una vita migliore.
Questo dialogo del mio precedente film, Orecchie, mi ronzava nella testa già da un po’, mentre pensavo alla storia di Io c’è. Da ateo, ho sempre avuto una grande curiosità per il mondo della fede. Sarebbe fin troppo semplicistico, nonché stupido, considerare i credenti soltanto come meri partecipanti di un delirio collettivo. In fondo, quello che fanno è credere in una storia, e chi fa il nostro mestiere dovrebbe conoscere bene l’importanza delle storie.
Da migliaia di anni, miliardi di persone hanno bisogno di credere in morti che resuscitano, fasci di luce portentosi, entità superiori magnanime o vendicative, personaggi che volano o camminano sulle acque. Com’è possibile? Mi torna in mente un concetto che noi che cerchiamo di scrivere storie conosciamo bene: “si chiama sospensione dell’incredulità quel fenomeno che si richiede davanti a una storia raccontata (per esempio al cinema o a teatro) di sospendere le proprie facoltà critiche allo scopo di ignorare le incongruenze, le illogicità, e godere appieno di un’opera di fantasia”, dicono.
E’ esattamente quello che fa un credente: sospendere l’incredulità, credere all’inverosimile. Questo pensiero in realtà mi fa capire, meglio di altri, che forse anch’io, in quanto amante delle storie, spettatore di storie, sono molto più vicino a un credente di quanto pensi. Il bisogno è lo stesso: quello, appunto, di avere raccontata una storia. Perché? E’ evidente che ci sia un atavico bisogno di credere in qualcosa da parte dell’uomo. Dietro, confinato dall’altra parte del cervello, c’è il terrore che tutto sia solo frutto di coincidenze, casualità. Esattamente come quando un bambino chiede che gli si racconti una storia prima di andare a dormire, la religione assolve la stessa funzione: non importa se sia vera o falsa, l’importante è che ci faccia addormentare sereni. La storia ti dice che c’è un ordine, dove attorno a te sembra ci sia solo il caos. Lo fa un romanzo, lo fa un film, lo fa una dottrina. Semplicemente, ti dice che c’è una struttura: un prima, un presente, e un dopo.
Ma un altro aspetto mi incuriosiva nel fare in particolare una commedia sul tema della religione. Molti mi sconsigliavano di farlo, perché “queste sono cose serie”, “non si ride di certi argomenti”. Trovo invece che ci sia qualcosa di intrinsecamente comico nelle religioni: gli abiti liturgici, le storie che raccontano. In questo film io riporto esattamente credenze e precetti di vari culti: se questi susciteranno risate, la responsabilità non sarà di certo mia. Per intenderci, non c’è niente di più grottesco di alcuni passaggi di testi sacri, di alcuni riti, di alcune regole, se li approcci con sguardo “laico”. Senza nemmeno il bisogno di distorcerli o parodiarli. In più, mi sembrava interessante raccontare una religione che “parte dal basso”.
Lo Ionismo del mio film dice che al centro dell’uomo deve esserci l’Io, e non Dio. Un concetto questo che, traslato su ogni aspetto della nostra vita, religioso, politico o sociale che sia, mi sembra estremamente contemporaneo. In Brasile, il più grande Paese cattolico del mondo, i cattolici sono ormai solo il 50% della popolazione. La maggior parte dei brasiliani si sta convertendo alla Assembleia de Deus, un movimento evangelico che sostiene che Dio si può manifestare attraverso chiunque, non solo i pastori. Volendo, in tale approccio si potrebbe leggere una sorta di democratizzazione della religione.
Del resto, nell’epoca in cui viviamo, se un blogger si crede uno scrittore e uno youtuber un opinionista, perché mai un fedele non può riconoscere in se stesso un profeta? Come dice Marco, l’ideologo della religione Ionista: “non avrai altro Dio all’infuori di te”. In ultimo, mai come adesso, il tema della religione sembra essere un territorio minato, un argomento di discussione che si evita come la peste, per scongiurare la gaffe, il politicamente scorretto, la polemica, se non il pericolo: viviamo in un momento storico in cui ci si uccide perché si crede, se vogliamo, semplicemente in storie diverse. La reazione a questo è il non voler toccare l’argomento.
Ho incontrato, durante la scrittura di questo film un uomo, Enrico Peduzzi, che è riuscito a fare accettare per tutti i suoi documenti di identità una foto in cui indossa uno scolapasta in testa, adducendo motivazioni religiose: la sua appartenenza alla Chiesa Pastafariana, una dottrina (evidentemente goliardica) nata negli Stati Uniti, e che “crede” che il mondo sia stato creato dal Prodigioso Spaghetto Volante. Il risultato è che, pur di non fare una figuraccia o offendere una “chiesa”, il funzionario del Comune di Roma ha accettato che Enrico avesse la foto di identità con il suo bello scolapasta bianco, come fosse un velo o una kippah qualsiasi. Del resto, come diceva un vecchio gioco della Settimana Enigmistica: “trova le differenze”.”
Se la trama vi e’ piaciuta allora non potete non vedere il trailer !!