La commedia francese ci propone sempre ottimi film da guardare assieme e se nel cast c’e’ il grande Fabrice Luchini allora non abbiamo mai dubbi per consigliarlo, parlarne e, in questo caso, scegliere “Alice e il sindaco” per le nostre uscite infrasettimanali.
A qualche mese dalle elezioni municipali, il sindaco di Lione non ha più idee. Dopo trent’anni di vita politica è come svuotato. In suo soccorso, l’entourage comunale recluta una giovane normalista.
Il ruolo di Alice Heimann è rigenerare la capacità di pensare del sindaco e la visione necessaria all’azione politica.
Introdotta nel cerchio della fiducia, Alice rivela un’agilità innata per la ‘cosa politica’ fornendo carburante alla macchina municipale. E la macchina riparte ma gli scossoni e i sobbalzi non tarderanno a costringerla alla sosta forzata.
Dirige Nicolas Pariser e nel cast il grande Fabrice Luchini con Anaïs Demoustier, Nora Hamzawi, Léonie Simaga e Antoine Reinartz.
Sentiamo la recensione di Anna Baisi che ha visto in anteprima questo film:
“Il secondo lungometraggio di Nicolas Pariser “Alice e il sindaco” (Alice et le maire) è una commedia di finzione politica che è stata scritta in funzione del suo primo film, Il Grande Gioco (Le Grand Jeu), anch’esso un film politico che rappresentava il mondo del potere costruito su uno scenario paranoico ed inquietante.
Ma qui il regista abbandona il genere thriller dei misteri del potere ed il ruolo a volte mortale che questi possono determinare per declinarlo nel mondo delle idee, in quello dell’impegno e soprattutto del gusto del dialogare di quella politica che è fissazione ed interesse del lavoro di Pariser.
Paul Théraneau, sindaco socialista di Lione, in piena disillusione politica viene affiancato in municipio da Alice Heiman, un’insegnante di filosofia che è stata assunta dal consigliere comunale quale “sviluppatore di idee” del sindaco per restituirgli quelle che lui stesso dice di aver perso ormai da trent’anni e riempire quel vuoto che lo ha deprivato dell’interesse del suo mandato politico.
Quello che appare solo inizialmente un bizzarro binomio viene spiegato così dal regista: “ La figura del sindaco era un mio capriccio, perché volevo una figura di rilievo, ma non un ministro o un deputato, bensì una figura che si sentisse padrona del suo ambiente. Non volevo che fosse il sindaco di Parigi, né il presidente della Repubblica, quindi la migliore soluzione sarebbe stata “un piccolo re”, di un piccolo regno, con una piccola Versailles, quindi il sindaco di una cittadina. Avevo lavorato per un po’ a Lione ed è una città che apprezzo molto. Per quanto riguarda la filosofa, il punto di partenza del film era proprio quello di voler ricreare la fiaba di La Fontaine, Il lupo e il cane, ovvero due personalità estremamente opposte. Pertanto, i miei due personaggi sono da un lato qualcuno che ha una vocazione ma che non riflette troppo sulle cose, e dall’altro, una persona che pensa troppo e non sa che cosa farne della sua vita. Volevo mettere a confronto questi due paradossi”.
Anche la scelta degli attori non poteva che essere eccellente perché in un film in cui la parola ha la funzione cardine e scandaglia in profondità, in cui le relazioni fra i protagonisti nascono sempre da considerazioni o riflessioni politiche o disquisizioni sull’etica e la filosofia ci si poteva affidare solo a chi fosse in grado di padroneggiare ed omaggiare ogni singola frase con una performance di forte potenza espressiva.
Pariser ci spiega in tal modo la sua scelta: “Per raggiungere il mio obbiettivo, avevo bisogno di grandi interpreti, tecnicamente forti e che possedessero un certo carisma, una certa personalità e che fossero anche fotogenici. Il film è nato dalla volontà di lavorare con Fabrice Luchini per cui ho già scritto e che ammiro enormemente da molto tempo. Davanti a lui, che è una sorta di numero uno mondiale al Roland-Garros, necessitavo di qualcuno alla sua altezza come Anaïs Demoustier, che fosse capace di rispondere a tono, che tenesse bene il gioco e che facesse una buona partita.”
Chapeau mai scelta fu migliore la sobrietà di Luchini non ha pari ed anche la schiettezza malinconica della Demoustier ha il suo peso.
Commedia molto elegante ed intellettuale nelle citazioni letterarie quando Alice parla di “decenza comune” di orwelliana memoria ad un Théraneau che parla degli intellettuali della gauche francese, o de Le fantasticherie del passeggiatore solitario di Jean-Jacques Rousse o ricorda al Sindaco l’importanza de La strana disfatta, libro di Marc Bloch.
L’importanza della parola più che dell’azione ci rimanda inevitabilmente ai film di Éric Rohmer ed in special modo a “L’albero, il sindaco e la mediateca” dove Luchini interpretava un insegnante che si era rifiutato di fare politica … in trent’anni ha cambiato idea ed è diventato sindaco ma ancora una volta un pò disilluso.
Il binomio strambo all’inizio fra Alice e il sindaco diventa più chiaro alla fine quando le scelte fanno comprendere perché l’agito è complicato e stancante quando non hai più idee: è scoccato il momento in cui ti chiedi a che serve fare ancora politica.
Alice se va e non certo dal Paese delle Meraviglie ma da un mondo che non le appartiene e che è un’autopsia disillusa della pratica politica e quando dopo qualche anno va a trovare Théraneau e gli regala, non certo a caso, Bartleby lo scrivano: una storia di Wall Street di Herman Melville gli ideali di entrambi sono pronti o già germogliati per nuove possibilità.”
E questo e’ il divertente trailer ufficiale !