Dialoghi con… Francesco Clerici

Recuperiamo questa bella intervista dal passato di Amicinema che merita di essere riletta anche in questo 2020 !!

 

Giovedì 10 dicembre esce nelle sale milanesi “Il gesto delle mani”, documentario del regista milanese Francesco Clerici premiato a Berlino con il Premio della Critica.

 

Protagonista della pellicola è il lento ma affascinante processo creativo di una scultura in bronzo dell’artista Velasco Vitali, famoso per le sue statue di cani.
La cinepresa di Francesco riprende gli artigiani della Fonderia Artistica Battaglia (che ha sede a Milano in Via Stilicone 10, http://www.fonderiabattaglia.com) mentre procedono nelle varie fasi di preparazione dell’opera con la tecnica della fusione a cera persa.

 

Francesco ha gentilmente accettato di partecipare al nostro spazio interviste.

Intanto benvenuto Francesco nel nostro spazio dialoghi (o chiacchere ?)

Tu sei molto giovane (32 anni) e un luogo comune dice che una persona giovane sia interessata (o debba per forza esserlo) solo ad attività moderne proiettate nel futuro, veloci come sembra sia diventato adesso il mondo.
Vedendo il film invece mi sembri totalmente all’opposto. Cosa ne pensi e cosa ti ha affascinato di questa tradizione così antica tanto da dedicarci questa pellicola ?

Un mese fa il critico di una rivista inglese appena mi ha incontrato e mi ha detto “tu non puoi essere Francesco Clerici… Mi sono immaginato un vecchio, tu sei giovane!”… diciamo che ho cercato di prenderlo come un complimento !
Forse mi ha affascinato proprio il fatto che è un mondo che oppone resistenza a una tendenza, senza per forza dire che il progresso tecnologico e la velocità siano un male, anzi. Ma la “sensorialità”, il voler toccare le cose e il saper fare le cose nella realtà e non nel touch-screen, (o quantomeno non solo lì!), credo appartenga all’uomo e alla sua natura.
E come Velasco mi ha sempre insegnato, appartiene anche all’arte. Quello della Fonderia è un mondo in cui la parola “cultura”, abitualmente associata all’intelletto oggi, prende una consistenza e un significato più manuale cui ho sempre voluto rendere un omaggio.

 

Ci racconti quali sono state le difficoltà a livello di regia che hai affrontato per girare “Il lavoro delle mani” ? Rendere interessante al pubblico tutto il lavoro della fonderia senza dialoghi e solo con il sonoro in tempo reale non deve essere stata un’impresa facile. Oppure alla fine non te ne sei curato particolarmente e hai semplicemente lasciato che le immagini parlassero da sole ?

Credo che la cosa più interessante del processo sia come l’idea dell’artista passi attraverso le mani degli artigiani, le guidi e ne sia guidata allo stesso tempo, e di quanto ogni ornamento registico “evidente” fosse totalmente superfluo.
Il problema registico era non far sentire la regia, stare solamente al servizio dell’esperienza che volevo far vivere: diventare il primo curioso spettatore e non, come spesso succede, il regista che vuole dire la sua a tutti i costi. Far parlare le immagini da sole però è come lavorare a nudo, a carte scoperte o quasi, e bisogna sapere usare gli elementi base del fare-cinema, riprese adeguate, un buon ritmo di montaggio, e (non avendo musica e voce fuori campo) un audio capace da solo di avvolgere lo spettatore e farlo entrare nell’esperienza.
Questo merito va dato a Michele Brambilla, Mattia Pontremoli, Fortuna Fontò, Francesco Mangini e Emanuele Pullini (che se io sono considerato “giovane”, loro sono da considerare “bebè”) e al perfetto missaggio di Massimo Mariani. Le difficoltà registiche sono state tante, ma ci tengo che rimangano invisibili!

 

Ho letto che ci sono degli aneddoti legati alla ricerca delle immagini di repertorio che hai inserito all’interno del film e nei titoli di coda. Ce li vuoi raccontare, anche per far capire ai nostri lettori quali problemi molte volte si nascondo dentro la produzione di un’opera cinematografica ?

E’ curioso perché molti pensano che l’idea del film sia “partita” dalle immagini di repertorio…invece è stata l’ultima cosa ad arrivare! Ho iniziato il film convinto che avrei trovato facilmente immagini di repertorio. Convinzione che si è rivelata totalmente infondata.
Alla fine delle riprese, e dopo la prima versione di montaggio, non avevamo trovato ancora nulla. A quel punto dalla Fonderia mi hanno chiamato per dirmi che avevano trovato una pellicola 16mm.
I gesti ovviamente erano gli stessi  (e in questo caso anche la location era la stessa perché era girata nella stessa fonderia) per cui solo allora ho potuto inserire quel materiale.
Alla fine di questo montaggio (film praticamente finito), Lino mi ha detto: “ah ma sai che forse io ho a casa un dvd?” ….  La qualità video era molto bassa ma ho voluto usare quel materiale per i titoli di coda… materiale d’archivio last minute, insomma.

 

In una intervista abbiamo letto che l’invito al festival di Berlino ti aveva lasciato sorpreso, pensando quasi ad uno scherzo. Poi è arrivato il Premio della Critica e finalmente anche la distribuzione nelle sale con “Lab 80”. Tutto molto velocemente. Quali sono le tue sensazioni adesso pensando a tutto questo ? Non è sempre facile per un documentarista, seppur premiato nei festival, trovare sempre una distribuzione italiana.

Credo che una dose di fortuna sia necessaria se vuoi fare un film completamente fuori da ogni gioco produttivo e ogni interesse.
La sezione FORUM di Berlino è estremamente indipendente ed era la vetrina cui puntavamo di più… e siamo stati fortunati. Senza quella selezione probabilmente questo film non sarebbe stato visto nemmeno da un decimo delle persone che l’hanno visto in seguito… con Lab80 è stato un contatto molto naturale e “umano”: ad Alberto Valtellina di Lab80 il film era piaciuto molto e ci siamo subito trovati su ogni aspetto.
Il problema più grande per ogni regista indipendente è riuscire raggiungere il pubblico senza poter contare sul marketing o su altri canali che non siano il lavoro degli esercenti e il passaparola.

 

Torniamo invece indietro nel tempo. Ti sei laureato in Storia e Critica dell’Arte all’Università Statale di Milano. La tua passione per il cinema è nata allora o era già presente dentro di te ?

E’ nata negli ultimi anni del liceo, o forse il primo anno dell’università… non prestissimo comunque. Mentre studiavo storia dell’Arte tenevo laboratori di realizzazione di brevi corti (documentari e non) con le scuole elementari e medie. Mi sono laureato con una tesi su Buster Keaton e la sua (involontaria) influenza sull’arte contemporanea…

 

Ti chiediamo per finire un tuo parere come spettatore: quali sono il film italiano e il film straniero che ti sono piaciuti di più negli ultimi mesi ?

italiano: “Il segreto” di cyop&kaf, forse. Stranieri è difficile… non saprei, forse “El abrazo de la serpiente” di Ciro Guerra, o “As mil e uma noites” di Gomez o “In transit” (di Albert Maysles, Lynn True, Nelson Walker, David Usui, ben Wu)… Sempre difficile fare una classifica e scegliere un primo. Aggiungo un cortometraggio (che purtroppo hanno una difficilissima diffusione): “How I didn’t become a piano player” di Tommaso Pitta.

 

Francesco è stato davvero un piacere chiacchierare con te del tuo film e delle tue passioni.
Per “Il gesto delle mani” ti facciamo un grosso e sincero in bocca al lupo e lo consigliamo davvero a tutti coloro che amano il buon cinema italiano !!

 

A Milano troverete questo film al cinema Beltrade a partire da giovedi’ 10 settembre con appuntamento con la prima proiezione alle 21.40 nella quale sarà presente anche Francesco.

 

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