Michel Piccoli ha recitato in oltre 177 film nei suoi 70 anni di carriera.
Dedichiamo questa settimana al grande attore che ci ha lasciato lo scorso 12 maggio.
Rivedremo alcune scene dei suoi film piu’ belli, accompagnati dalle parole che ci ha lasciato nelle sue interviste.
Piccoli e’ stato sempre circondato da bellissime donne, come nel suo primo grande successo “Il disprezzo (Le Mépris)” di Jean-Luc Godard dove recita accando a Brigitte Bardot.
Lo scrittore Paul Javal vive a Roma con la moglie Camille. Gli viene chiesto dal produttore americano Jerry Prokosch di riscrivere la sceneggiatura di un film ispirato all’Odissea la cui regia è stata affidata a Fritz Lang che Prokosch ritiene troppo intellettuale. Il produttore è attratto da Camille e Paul lascia che i due, nonostante la contrarietà di lei, possano rimanere da soli. Da questa situazione prende forma il disprezzo che Camille inizierà a provare per il marito.
Sentiamo Piccoli sul suo concetto di attore:
“Quando interpreto un ruolo cerco sempre di comprendere sia il personaggio scritto sia quello che vuole il regista. C’è sempre una sinergia forte tra i due, ma l’attore deve avere sempre la libertà di creare. Certamente gli slanci creativi vanno discussi con il regista, ma per fortuna non mi è mai successo di lavorare con dei demiurghi. Ci vuole molta tenacia, molta pazienza per costruire un’osmosi tra attori, regista e produttori.
Quello dell’attore è un lavoro molto profondo perché devi stabilire una sorta di intimità segreta sia con l’autore che con il regista, come nel caso di Ta main dans la mienne, in cui mi confronto con due grandi come Anton Cechov e Peter Brook.
Il mestiere dell’attore comporta un continuo e stretto confronto con i propri partners, con il regista e con il pubblico. Il teatro è come una bottega, e noi attori siamo come quei negozianti che cercano, nel migliore dei modi, di vendere la loro merce.
C’è un’unica differenza, però: a teatro la seduzione è molto più pericolosa. Se l’attore diventa troppo seduttore può perdere la propria anima.”
Con Buenel Piccoli ha recitato in ben 7 film (compreso “Il fascino discreto della borghesia”), ma il piu’ famoso e’ assieme a Catherine Deneuve in “Bella di giorno” .
Séverine, giovane moglie d’un medico ospedaliero, è affetta da seri problemi di relazione che la portano a vivere una vita affettiva distorta: fredda e distaccata col marito, cerca rifugio tutti i pomeriggi in una casa d’appuntamenti in una splendida Parigi degli anni sessanta, dove cerca, prostituendosi, una sorta di psicanalisi che la porti a uscire dalle sue fobie e dalla sua frigidità.
Sentiamo le parole di Piccoli su se stesso, i rapporti umani e sulla politica:
“Mi sento un eterno principiante. E me ne vanto. Perché solo così posso migliorare, crescere, scoprire. Perché solo così non do nulla per scontato e posso così ripartire, ricominciare.
I rapporti umani sono insondabili, a volte inquietanti e non occorre sempre trovare delle spiegazioni. Bisogna essere pronti al divorzio, da una donna che non si ama e a cui non si vuole imporre la menzogna, da un pregiudizio, da un’idea fissa.
Faccio parte della generazione che ha visto e vissuto molta sofferenza e che, come scelta intellettuale e culturale, si è sempre impegnata politicamente.
Come Berlusconi, anche Sarkozy è un attore, solo che non sa di esserlo. Ha una grande volontà, una grande energia… Ma fra cinque anni sarò io candidarmi alla presidenza della Repubblica francese“.
Un incontro molto importante per la carriera di Piccoli e’ con il regista milanese Marco Ferreri con il quale realizza due dei suoi film piu’ importanti iniziando nel 1969 con “Dillinger è morto“.
Un uomo, trovata per caso una pistola, diventa un assassino e uccide la moglie. Senza nessun rimorso si fa ingaggiare come mozzo su una imbarcazione privata e parte per le Hawaii. La sua violenza ingiustificata è solo frutto della noia.
Sentiamo il racconto dell’incontro tra Piccoli e Ferreri.
“Negli anni in cui continuavo a frequentare l’avanguardia teatrale conobbi anche i giovani autori di cinema, tra cui Marco Ferreri, ma il nostro fu incontro davvero casuale. Il mio agente intermediario voleva impormi di fare un film con Alain Delon perché il mio nome sarebbe comparso poi sul cartellone del film, e ciò mi avrebbe dato una grande visibilità per il futuro.
Ma la sceneggiatura di questo film non mi convinceva fino in fondo. Un giorno vidi Ferreri arrivare sul set, mi diede nove cartelle da leggere, un racconto sostanzialmente, e mi disse che ci saremmo rivisti all’indomani. Lessi subito quelle pagine e ne rimasi colpito profondamente: era una bozza del copione di Dillinger è morto.
Lasciai il mio agente e andai in Italia con Marco a girare il film. Lui era uno di quei registi che durante le riprese non dicono nulla e ti lasciano libero di creare.
La sua presenza però era talmente magnetica che riuscivo a capire dal solo sguardo che cosa voleva. Ricordo che anche Luis Buñuel aveva questa immensa forza.“
Il capolavoro di Ferreri e il suo più grande successo commerciale e’ senza dubbio “La grande abbuffata“, una metafora impietosa sul consumismo della società del benessere inesorabilmente votata all’autodistruzione, con Ugo Tognazzi, Marcello Mastroianni, Philippe Noiret e appunto Michel Piccoli.
Quattro amici di diversa estrazione sociale, ma uniti dal comune amore per la buona tavola, si ritrovano nella fatiscente villa con giardino di uno di loro per trascorrere un intero weekend mangiando e bevendo.
Tre prostitute fatte venire per ravvivare la maratona gastronimica ben presto si stancano dell’indifferenza erotica degli anfitrioni, tutti presi dalle pietanze, e se ne vanno.
Piccoli sulla differenza tra cinema e teatro:
“Ora gli attori di teatro amano fare cinema e quelli di cinema spesso calcano i palcoscenici teatrali. Anche io anni fa feci tre film da regista, perché ad un certo punto della mia carriera ero diventato curioso di confrontarmi con ciò che sta dietro la macchina da presa. Quando si gira un film, sul set ci sono decine e decine di addetti ai lavori, il loro numero è sempre maggiore rispetto a quello degli attori. Il teatro è diverso ed è molto profondo, ad esempio, lo scarto che c’è tra le prove e poi la rappresentazione di uno spettacolo. Durante le prove l’attore è come un bambino che va guidato dal regista, perché è lui a sapere tutto. Ma durante lo spettacolo i ruoli si invertono: davanti al pubblico è l’attore che crea, mentre il regista prova uno strano senso di perdita dietro le quinte. Gli spettatori arrivano così a pensare che spesso è l’attore il vero autore dello spettacolo. Al cinema è tutto diverso, però, malgrado la differenza, mi piace fare ancora il ”gigione” davanti alla macchina da presa.”
Non e’ in assoluto l’ultimo film di Piccoli, ma a 86 anni l’attore francese ci regala una grande interpretazione (molto umana) in “Habemus Papam” di Nanni Moretti, in concorso a Cannes e che per i Cahiers du cinéma e’ il miglior film del 2011.
Il nuovo Papa, da poco eletto, si sente inadeguato al suo solenne compito e viene colto da crisi di panico. Per aiutarlo a superarle viene chiamato uno psicoanalista che lo aiuta a ragionare sui suoi dubbi e le sue perplessità all’origine dei disturbi nervosi.
Questa volte sentiamo invece il racconto di Nanni Moretti sul piacere di dirigere un maestro come Piccoli:
“È stato un grandissimo privilegio lavorare con una persona e un attore come Michel Piccoli. Sono quelle fortune che capitano una volta nella vita. L’avevo incontrato brevemente sul set di un film di Peter Del Monte, “Compagna di viaggio”.
Molti anni dopo il 14 agosto del 2009, partii insieme al mio aiuto regista per Parigi con il vestito bianco del Papa dentro una valigia. Gli feci un provino nell’ufficio del mio coproduttore francese. Naturalmente non era un provino per misurare le sue qualità artistiche ma per capire se poteva recitare un intero film in italiano, dato che non prendevo nemmeno in considerazione l’idea di doppiarlo.
Durante le riprese è sempre stato disponibile, generoso, mai capriccioso, e ha capito al volo cosa volessi raccontare attraverso la figura di quel Papa così umano e sofferente.”