Pedro Almodovar e’ ritornato al festival di Venezia di quest’anno dopo tanto tempo e il suo “Madres Paralelas” e’ stato l’atteso film d’apertura della manifestazione.
Alla fine non ha portato a casa nessun premio, ma la critica (e speriamo adesso il pubblico) ha apprezzato il ritorno a riscoprire l’universo femminile, la maternità e la famiglia.
Due donne, Janis e Ana, condividono la stanza di ospedale nella quale stanno per partorire. Sono due donne single, entrambe in una gravidanza non attesa. Janis, di mezza età, non ha rimpianti e nelle ore che precedono il parto esulta di gioia.
Ana invece è un’adolescente spaventata, contrita e traumatizzata. Janis tenta di rincuorarla mentre passeggiano tra le corsie dell’ospedale come delle sonnambule. Le poche parole che scambiano in queste ore creeranno un vincolo molto forte tra le due ed il fato, nel fare il suo corso, complicherà in maniera clamorosa le vite di entrambe.
Nel cast le bravissime Penélope Cruz e Rossy De Palma con Aitana Sánchez-Gijón, Julieta Serrano e Milena Smit.
Ecco la recensione della nostra inviata Anna Baisi:
“L’ultima fatica di Pedro Almodóvar il film “Madres Paralelas”, dopo il più dolente e personale Dolor y Gloria, ci riporta al mondo femminile, alla relazione intima fra donne ed all’istinto materno: temi centrali in gran parte della filmografia del regista spagnolo.
Ma a questa dimensione individuale ne viene aggiunta una collettiva ed esplicitamente politica che collega la storia di due donne che uniscono le forze per affrontare la gioia e il dolore della maternità alle atrocità commesse dai falangisti di Franco.
Come le unisce? Con la forza vitale che ci porta avanti e fa parte del nostro Dna che passa di generazione in generazione ed è trattenuto dentro di noi e rimanda al bisogno di una memoria storica, di una ricerca di verità e responsabilità per creare una identità comune in cui riconoscersi.
La maternità acquista così un doppio significato: quello della donna che partorisce una nuova vita e quello di un paese, la Spagna, che deve ancora seppellire i suoi morti: l’intimo e lo storico uniti in un potente abbraccio che collega diverse generazioni attraverso il lutto…dolor y memoria …
Penelope Cruz interpreta Janis, una famosa fotografa di moda che ha preso il nome da Janis Joplin, come voluto da sua madre hippie, morta giovane, e quindi cresciuta dalla nonna.
Dopo un servizio fotografico con l’antropologo forense Arturo (Israel Elejalde) Janis chiede il suo aiuto per ottenere permessi e finanziamenti da una società storica per scavare una fossa comune nel villaggio della sua infanzia.
Secondo la sua famiglia, il suo bisnonno è stato gettato lì dopo essere stato ucciso dai fascisti durante la guerra civile spagnola e Janis e i suoi parenti sopravvissuti sperano di far riesumare il corpo in modo da potergli dare una degna sepoltura.
Janis inizia una complicata relazione con Arturo e rimane incinta e decide di portare avanti nonostante tutto la gravidanza ed avere la bambina che chiamerà Cecilia, come sua nonna.
E’ nel reparto maternità che il focus più intimo del film ha luogo nell’incontro di Janis con la giovanissima Ana (Milena Smit) con cui nasce una immediata amicizia durante il travaglio ed il dolore delle doglie … insomma due donne sull’orlo di un crisi di maternità …
Entrambe sono madri single le cui gravidanze non sono state pianificate e mentre Janis è piena di gioia per l’inaspettata sorpresa di una figlia, Ana è sopraffatta dalla depressione nel suo percorso verso la maturità lastricato da un dolore lancinante.
Tra le due donne il rapporto continua nonostante accadimenti melodrammatici e il divario generazionale: Janis ammonisce Ana quando dice che non conta il passato, che peraltro non conosce, e come dice suo padre bisogna guardare solo al futuro, concetto nato forse da qualunquismo ma coltivato anche dall’estrema destra perché con la rimozione del passato non si sa da che parte schierarsi in piena libertà.
Molto accadrà alle nostre eroine ma raccontare di più sarebbe un crimine.
Ho amato incondizionatamente questo film per molteplici ragioni:
– anzitutto per la fluidità del racconto e della direzione dove la maestria di Almodóvar è spettacolare, mai esagerato in questo film, contenuto ma allo stesso tempo sempre sul punto di esplodere, con alcune sequenze originali, imprevedibili e poetiche che si ricordano con piacere;
– per l’amore senza limiti che Almodóvar mostra verso i suoi personaggi femminili, le contraddizioni dell’essere donna, evitando il giudizio e trovando il perdono anche per l’egoismo e i difetti che causano loro vergogna perché il suo spirito generoso eleva sempre la sua visione della condizione umana … anche per Teresa (Aitana Sanchez-Gijon), madre di Ana, peraltro donna molto interessante;
– per la sua “band” dei preferiti, dagli attori, oltre a Penelope Cruz, la sfacciata direttrice di una rivista interpretata da Rossy de Palma, Julieta Serrano in un cameo come nonna di Janis, allo scenografo Antxon Gomez e ad Alberto Iglesias per la bella colonna sonora, a tratti cupa e sensuale, ma profondamente classica, avvolgente e ricca di sfumature;
– per Penelope Cruz in una performance magistrale, straordinariamente naturale e liberatoria e per Milena Smit, giovane co-protagonista di notevole bravura che porta un’energia rara nelle loro scene condivise;
– per la l’arredamento della casa della nostra protagonista, con le fotografie appese alle pareti che mostrano, oltre a quella della madre, donne libere e fiere con i loro sguardi di sfida, per gli oggetti che sembrano tutti scelti con cura, vissuti ed i colori vivaci: una casa che rappresenta chi la abita;
– per la denuncia etico-polita del regista.
Concludo, come nel film citando Eduardo Galeano: “per quanto si tenti di zittirla, la Storia non è muta.“
Se siete curiosi allora non potete perdere il trailer italiano !!