Torna il cinema d’impegno sociale, quello che per semplificare vede in Ken Loach uno dei massimi esponenti attuali, e “Tutto in un giorno” (in originale l’efficace “En los márgenes”) diretto dall’esordiente Juan Diego Botto ci salderà i cuori e indignerà l’anima.
E in piu’ c’e’ una bravissima Penelope Cruz che gli strilli pubblicitari paragonano perfino ad Anna Magnani.
Tre persone devono fronteggiare la realtà di uno sfratto e hanno 24 ore di tempo per capire come fare. C’è Rafa, un avvocato attivista diviso tra lavoro e la relazione di coppia. C’è Azucena, una madre disperata dall’idea di perdere la propria casa. Infine Teodora, una madre dimenticata che tenta di mettersi in contatto con suo figlio.
Nel cast anche Luis Tosar, Font García, Adelfa Calvo e Christian Checa.
Ecco la bella recensione della nostra inviata Virna Castiglioni:
“Tutto in un giorno segue come un’ombra le storie distinte di personaggi soli nella loro battaglia contro un sistema spietato che li vorrebbe privare dell’unico bene materiale che con estrema fatica sono riusciti ad ottenere per sé e per i propri affetti.
La casa che rappresenta per tutti un rifugio e che dovrebbe essere sempre una certezza, soprattutto quando si ha la responsabilità di un figlio, diventa invece una prigione, un’ossessione, una trincea, una condanna che li porterà anche a commettere un gesto estremo.
Il film non parla solo di sfratti, sebbene sia il perno principale sul quale ruotano le storie narrate. Anche se le scritte finali ribadiscono allo spettatore che questo problema in Spagna sta acquisendo sempre più rilevanza, la pellicola è un condensato di tanti altri temi come la solitudine, i problemi economici che fanno scaturire anche altre sofferenze, la solidarietà umana, la lotta di classe, il lavoro sottopagato, il sistema bancario freddo e disumano, il volontariato, l’assistenza sociale, la povertà e la vergogna per esserlo. Il regista Botto riesce, soprattutto grazie alla bravura degli attori coinvolti, perfettamente calati nella parte degli ultimi, a farci percepire tutta l’ansia e l’angoscia per il terrore di perdere l’essenziale e di finire in mezzo alla strada, allo sbaraglio, senza rete.
Penelope Cruz con questa interpretazione che conferma il suo sconfinato talento recitativo è Azucena, una mamma che lotta come una leonessa, per non permettere che il sogno di una vita familiare sia distrutto per un meccanismo perverso che stritola chi non riesce a stare all’interno di un ingranaggio. Fiera, anche se trasandata e visibilmente rosa dal tarlo della preoccupazione di perdere tutto, non abbassa mai la testa ma, con forza, sostiene la sua causa anche se al suo fianco non ha un solido appoggio.
German è un uomo sconfitto e fagocitato da un sogno professionale interrotto e dalla vergogna di avere coinvolto in questo destino avverso anche l’anziana madre vedova.
Badia è una giovane donna immigrata che cerca di sopravvivere districandosi come può tra lavori e doveri familiari.
In queste tristi storie i bambini non si comportano mai come ci si attenderebbe e sarebbe naturale che fosse perché i capricci subito smorzati non sfociano in repliche e si assumono responsabilità e compiti che li rendono adulti prima del tempo.
Dall’altra parte della barricata sembra non esserci nessuno. Solo un avvocato e uomo che sta per diventare padre Rafael (un bravissimo Luis Tosar) si allea con questa misera gente e cerca con tutte le forze di trovare una soluzione, anche a costo di non rispettare del tutto quello che imporrebbe la legge ma soprattutto trascurando i suoi interessi personali.
Un film crudo che costringe lo spettatore ad assistere ad un concentrato di dolore, ingiustizie subite, torti inflitti, drammi familiari e infanzie negate senza un attimo di tregua come se dovesse stare in apnea per accorgersi che anche l’aria non è scontata e che bisogna sempre stare in allerta per non sentirsi privati di diritti fondamentali come quello di avere un posto sicuro, protetto, caldo, in cui tornare per stare tranquilli e chiudere il mondo con le sue brutture fuori dalla propria vista e dalla propria mente.
Unico difetto è la mancanza di contraddittorio e nell’aver rappresentato il male scegliendo di non incarnarlo in uno o più personaggi che potessero essere la bandiera di chi esercita potere e impone le regole senza tenere conto di contesto e contingenze personali.
Un film che prende posizione, un film denuncia, un film che innesca riflessione e impone con urgenza la ricerca di una soluzione ad un problema che si allarga a macchia d’olio e potrebbe coinvolgere chiunque, senza esclusione alcuna.
Alla sua prima prova da regista Juan Diego Botto firma un’opera necessaria e convincente.”
Finale con il trailer ufficiale !!