R.M.N. è l’acronimo rumeno (ma anche italiano) della risonanza magnetica ed era il titolo originale di “Animali selvatici” il nuovo film di Cristian Mungiu (“4 mesi, 3 settimane, 2 giorni”, “Oltre le colline“) presentato con successo al Festival di Cannes 2022.
Matthias, burbero e taciturno lavoratore di un mattatoio tedesco, litiga con il datore di lavoro e scappa verso Recia, il villaggio di origine in Transilvania.
Qui trova una situazione complicata: la moglie Ana sta crescendo il figlio Rudi in maniera troppo protettiva, mentre la sua amante Csilla ha fatto carriera in un grande panificio locale.
Quando quest’ultima, per poter ottenere dei benefici UE, si trova a dover assumere braccianti provenienti dallo Sri Lanka, nel villaggio emergono intolleranze sopite a lungo ma più vive che mai.
Nel cast con Judith State, Alin Panc, Marin Grigore, András Hatházi e Orsolya Moldován.
Sentiamo la recensione di Anna Baisi che ha visto in anteprima questo film:
“Il regista Cristian Mungiu con il suo “Animali selvatici” anche se il titolo originale R.M.N. risulta più efficace perchè l’analisi laser della società rumena malata e delle sue contraddizioni e paure rende meglio il senso del cupo e pessimistico psicodramma di xenofobia mitteleuropea: un’ostilità rumena che ha preso dimora nel cervello delle persone in una regione multietnica della Transilvania (e non solo lì purtoppo).
Il film è stato ispirato al regista da un fatto realmente accaduto in un villaggio appunto della Transilvania nel febbraio del 2020: una delle regioni più multietniche della Romania: nella copia del film proiettato al Festival di Cannes 2022 sono stati utilizzati sottotitoli di colore diverso per distinguere le varie lingue parlate dagli abitanti del piccolo paese rurale dove si svolge questa favola dell’intolleranza:. villaggio in cui convivono oltre che rumeni, ungheresi e tedeschi.
Sono persone che non sanno decidere quale identità razziale tra i loro vicini detestano di più, o quanto detestare l’Union Europea da cui arrivano ancora così tanti aiuti finanziari, ma i cui paesi più ricchi sono davvero molto razzisti nei loro confronti.
Matthias (Marin Grigore) ha dovuto abbandonare il lavoro in un mattatoio tedesco dopo aver aggredito il caposquadra razzista che lo aveva definito uno sfaticato ma soprattutto “zingaro”.
Tornato nella sua città natale disoccupato, Matthias viene accolto con freddezza dalla moglie Ana (Macrina Bârl?deanu) anche perché ha avuto e forse ha una relazione con un’altra donna, la raffinata ungherese Csilla (Judith State) che suona il violoncello e si esercita nel tema di Yumeji dal capolavoro di Wong Kar-Wai “In the Mood for Love” sorseggiando vino rosso e gestisce un moderno panificio industriale hi-tech.
Il film inizia con il piccolo Rudi (Mark Blenyesi) che va a scuola da solo nel bosco, un luogo magico come se forze ataviche e metafisiche lo abitassero girato con grande maestria da Mungiu: sembra di essere in una favola, ma il bimbo sta affrontando un pericolo che noi spettatori non vediamo: potrebbe essere una proiezione spaventosa, un animale selvatico o una metafora, una precognizione o forse siamo noi d’altra parte i fotogrammmi, finali mostrano suo padre Matthias di fronte a qualcosa che vedrete che allo stesso modo sembra simbolico, rappresentando una minaccia che può provenire dall’esterno o da dentro di lui.
Il bambino resta traumatizzato da quel qualcosa di orribile “visto” nel bosco e smette di parlare e sembra l’unico che abbia una sensibilità verso il male o verso la verità (un esempio della sensibilità fiabesca che persiste per tutto il film).
Dopo che il panificio industriale dove lavora Csilla ha assunto un paio di lavoratori singalesi per raggiungere l’obiettivo per una domanda di finanziamento all’Unione Europea, i risentimenti contro questi stranieri, erroneamente identificati come bengalesi e nepalesi e inevitabilmente visti come musulmani sebbene lo Sri Lanka sia buddista e gli operai siano onesti padri di famiglia e gran lavoratori (uno di loro è persino cattolico) i cittadini, mobilitano una campagna di odio con minacce di morte online e una petizione per sbarazzarsi degli intrusi (dopo essersi liberati dei rom anche i singalesi è troppo!) e si riuniscono nella casa comunale per esprimere il loro bigotto odio per i singalesi che Csilla ha assunto fra l’altro perché nessuno del posto ha risposto agli annunci di lavoro, come Matthias, ovviamente.
Lo stesso rimane a una distanza molto superficiale dalla mischia. ma lui stesso è capace di razzismo occasionale, e cerca anche di controllare e costringere entrambe le donne della sua vita in vari modi soprattutto la madre a non aiutare Rudi perché pensa che una buona cura per il trauma di suo figlio sia costringerlo a camminare da solo nei boschi, o insegnargli alcune abilità di sopravvivenza in questo devastato paesaggio con le sue cave a cielo aperto abbandonate e i laghi avvelenati perché a sue dire chi ha pietà muore prima e questo è il messaggio ispiratore che trasmette al figlio.
Nel punto clou appunto del film, nel chiassoso incontro in cui la comunità discute il problema dei lavoratori stranieri che dura circa 17 minuti, non tagliato, girato da una singola telecamera fissa,che è una raffica di odio, bugie e disinformazione anche di carattere pseudo scientifico da parte degli abitanti e anche una colossale ipocrisia di coloro (prete incluso che fomenta anziché portare pace) che, come Csilla e la proprietaria del panificio, sostengono i diritti degli stranieri ma che in realtà li hanno assunti non per altruismo ma perché gli unici disposti a lavorava con un salario minimo che ha contribuito a soddisfare le richieste per una sovvenzione dell’Unione Europea.
Un volontario di una ONG francese che lavora a un progetto di conservazione dell’orso si alza per parlare di integrazione ma viene investito citando fra le tante assurdità Charlie Hebdo e l’eredità della storia coloniale francese. Poi il delirio e la violenza.
Il titolo del film, l’acronimo rumeno di risonanza magnetica nucleare allude da un punto di vista fattuale e non metaforico alla scansione cerebrale che il padre di Matthias ha subito e di cui vediamo le immagini mentre Matthias le fa scorrerre sul suo smartphone, questo avviene a lungo per due volte, forse Mungiu è del parere che l’Europa potrebbe o dovrebbe beneficiare di una procedura simile.
Se nel primo atto di una pièce c’è un fucile appeso al muro, nel secondo o terzo sarà utilizzato. Se il fucile non viene usato, non dovrebbe neanche starsene lì appeso scriveva Anton Cechov e visto il fucile all’inizio del film si poteva presagire: Matthias ora ha iniziato a portare il suo fucile ovunque, sta rimuginando sulle immagini della scansione del cervello di suo padre che ha sul suo smartphone: una nuova versione inquietante del cranio sotto la pelle e la malattia sotto il cranio e la sua aggressività alimentata dal subconscio contro la coscienza, dal dolore, dalla paura e dall’odio in un finale onirico si scontreranno …
Come ha detto lo stesso regista: “Una delle narrazioni più ricorrenti per spiegare l’attuale posizione della Romania tra i paesi europei è che non ci siamo sviluppati tanto quanto le società occidentali perché siamo stati impegnati a combattere gli invasori che volevano saccheggiare l’Europa e grazie al fatto che noi li abbiamo tenuti occupati qui nell’est, gli occidentali hanno avuto tutto il tempo del mondo per progredire ed erigere le loro opulenti cattedrali. Ma allo stato attuale molte altre narrazioni vengono utilizzate per rendere conto dello stato del pianeta oggi. La globalizzazione è la nuova Babele, un segno che il mondo sta giungendo alla fine. Quando anche le malattie diventeranno globali, la fine sopraggiungerà rapidamente. Il surriscaldamento globale è un altro segno dell’imminente epilogo e presto l’eccessivo sfruttamento delle risorse naturali le esaurirà e le persone si faranno la guerra per sopravvivere. Per secoli, è stato più facile identificare gli invasori. I locali vivevano in piccoli villaggi tra le foreste e non appena appariva qualcuno a dorso di cavallo sull’altro versante della collina, veniva subito individuato come potenziale nemico (il turismo è arrivato dopo). Oggi, con gli aerei, le cose sono diventate più complesse. Uno stereotipo peculiare riguarda gli unni, gli antenati degli ungheresi, giunti a dorso di cavallo e soliti nutrirsi di carne cruda che frollavano mettendola sotto la sella. È uno stereotipo talmente diffuso che nessuno lo mette in dubbio. Circa 30 anni fa, il Consiglio Europeo ha raccomandato l’uso del termine “rom” al posto di “zingaro” o “gitano” percepito come offensivo.
La Romania tentò inutilmente di opporsi all’iniziativa per la confusione che generava tra rom, popoli romanì, romeno e rumeno e così la confusione crebbe. Per i rumeni essere scambiati per rom è la più grande offesa, mentre gli occidentali percepiscono il nostro desiderio di fare la distinzione come un atteggiamento già inappropriato e discriminatorio. R.M.N. mette in discussione i dilemmi della società di oggi: solidarietà rispetto a individualismo, tolleranza rispetto a egoismo, correttezza politica rispetto a sincerità. Mette anche in discussione il bisogno atavico di appartenere, di identificarsi con il proprio gruppo etnico, con la propria tribù e di considerare naturalmente l’altro con riserva e con sospetto – sia esso appartenente a una diversa etnia o a una diversa religione o a un diverso sesso o a una diversa classe sociale. È una storia sul tempo passato, percepito come attendibile, e sul tempo presente, vissuto come caotico; sul carattere subdolo e ipocrita di una scala di valori europea che viene più rivendicata che messa in atto. È una storia che parla di intolleranza e discriminazione, di pregiudizio, stereotipi, autorità e libertà. È una storia che parla di codardia e di coraggio, dell’individuo e delle masse, del destino personale rispetto a quello collettivo. È anche una storia sulla sopravvivenza, sulla povertà, sulla paura e su un futuro feroce. Il film parla degli effetti causati dalla globalizzazione in una piccola comunità radicata in tradizioni secolari: i valori dei tempi andati sono smarriti, ma l’accesso a internet di cui oggi gode la gente non ha proposto valori aggiornati, ma al contrario ha gravato le persone della difficoltà di distinguere la verità dalle loro opinioni personali nel caos cognitivo e morale dei nostri giorni.
Ma questo animali selvatici sono davvero nella foresta, sono gli orsi da uccidere o sono il male e malessere che è insito dentro di noi?
Film necessario ed urgente e assolutamente da vedere perché sebbene sia specifico nella sua ambientazione si ha la sensazione inquietante che questa storia possa svolgersi ovunque l’odio trovi un punto d’appoggio in questa Europa disfunzionale e infelice.”
Finale con il trailer ufficiale !!