“Il Labirinto del silenzio” e’ il film del regista italo-tedesco Giulio Ricciarelli candidato agli Oscar per la Germania (e passato anche al Festival di TorontoI che uscirà in sala dal 14 gennaio con Good Films e che vi consigliamo di non perdere.
Diamo subito spazio alla recensione di Mauro Cesaretti che ha visto in anteprima la pellicola:
“Un film che chiede attenzione, che vuole colpire nel profondo. Un film che non si basa solo sul tema storico del nazismo, ormai trattato ampliamente nel campo cinematografico, ma che sente il bisogno d’esprime aspetti legati anche alla psicologia dell’uomo. Infatti Radmann, il protagonista, non appare come un semplice individuo ossessionato dal suo lavoro di procuratore, ma viene trattato dal regista Giulio Ricciarelli come un soggetto in preda alle emozioni.
Ci viene presentato un personaggio, se così si può dire, a tutto tondo, in tutte le sfumature dalla sua giornata. Nel film, Radmann s’innamora, instaura un forte rapporto d’amicizia con il giornalista Thomas Gnielka e tanti altri eventi da gustarsi durante la visione.
Tutto ciò, però, s’intreccia con il suo lavoro, il procuratore, che lo porta ad indagare su un’inchiesta che il giornalista Gnielka aveva avviato con un suo amico pittore deportato durante la Seconda Guerra Mondiale ad Auschwitz.
L’intera vicenda si svolge nella Francoforte del 1958 e la prima scena, dove l’artista riconosce un ex soldato integrato nella società come professore di una scuola elementare, ci catapulta in un grande senso di sbigottimento, una stonatura che coincide con il cadere della scatola dei pennelli e lo sguardo attonito.
Poi, ci viene fatta respirare l’aria rigida e severa del palazzo della procura fino a trasportarci in uno stato di confusione dato dall’irruzione di Gnielka, il così detto “uno contro tutti”, a cui il disciplinato Radmann si sente sovvertire. Da lì nel protagonista, e in noi stessi, vi è uno stato d’incertezza dato dall’insinuarsi del dubbio e dal bisogno di verità.
Qualsiasi domanda cerca risposta, e così, Radmann inizia a scovare un possibile elenco di ex soldati e di deportati. Inizia ad interrogarli, ma questo porta tutti noi a sentirci partecipi di un orrore, uno scempio e quindi ciò che nel film appare con un semplice interrogatorio, nella realtà si tramuta in una retrospezione personale e culturale.
La svolta, l’incoraggiamento principale, gli viene offerto dalle lacrime pesanti dell’amico deportato di Gnielka che racconta dell’uccisione delle sue bambine nel campo di concentramento e forse una delle scene più simboliche è di certo quando lui davanti al portone si siede sul gradino e guarda passare le persone sorridenti, come se ignorassero lo sterminio nazista.
Altra svolta, questa volta retrocessiva, viene data dall’apparizione della madre che rivela al figlio l’appartenenza del padre al partito. In quel momento, sconcertato, il protagonista inizia delle ricerche approfondite anche sulla usa famiglia e si sente vittima di un gran “raggiro”. “Cosa pensi che siano scomparsi i nazisti?”, ecco una delle frasi con cui si può leggere l’intero film. Ed è qui che si può collegare il titolo “Il labirinto del silenzio”, ovvero tutto ciò che indica la perdita delle certezze nell’omertà.
Il protagonista, per l’appunto, si rende conto che molti erano iscritti al partito e che nemmeno lui era veramente “pulito”.
Così ci viene presentato l’inconscio del protagonista, il suo lato da ubriacone, nel quale perde l’amata e l’amico che gli rivela, dopo tanto tempo, di esser stato anche lui deportato ad Auschwitz. Perde tutto! Tutte le certezze e questo lo porta a lasciare il lavoro, a capire che non è possibile essere i ricercatori della verità, in un paese dove vi è solo menzogna.
Però tutto ha un fine, e quando cambiando lavoro si trova a lavorare con quegli avvocati che difendevano il “male”, i veri colpevoli di reati, capisce che, anche se in piccola parte, il male si può combattere con il bene e non certo ignorando i problemi o facilitando i criminali.
Così ritorna a svolgere il suo lavoro da procuratore, arresta vari rei e si prepara a compiere il processo.
Le ultime scene che sembrano dare morale al film sono il ritorno degli affetti: quando Radmann va a pregare con Gnielka davanti al recinto di Auschwitz e quando l’ex ragazza, pur non tornando insieme, decide di ricucire la sua giacca strappata. Questi due sono messaggi importantissimi: il primo ci deve far riflettere sull’aspetto religioso della vicenda e quindi anche sull’eterno pensiero per i cari persi nell’olocausto, il secondo fa capire, invece, come tutto si aggiusti nonostante rimanga la cicatrice, lo strappo.
L’uomo non può ignorare eventi come questo, non può sorvolare la morte. La storia parla, parla ai cuori di chi sente il bisogno di lealtà e rispetto. Tutto può essere cambiato in bene, ma sta a noi fare il passo giusto nelle scelte.”
E per tutti coloro che si sono incuriositi leggendo le righe sopra ecco il trailer