Florida: Intervista a Philippe Le Guay e Jean Rochefort.

Vi abbiamo parlato in questo articolo di “Florida”, il nuovo film di Philippe Le Guay, il regista di “Moliere in bicicletta” e “Le donne del 6°piano”.

 

Sentiamo allora le parole del regista Philippe Le Guay e dell’attore principale, il grande Jean Rochefort, che ci raccontano la genesi del film e le loro emozioni sulla pellicola.


 

PHILIPPE LE GUAY

 

Come è nata l’idea di realizzare un film dal testo teatrale di Florian Zeller ?

Questa è la prima volta che adatto un’opera preesistente: solitamente lavoro sempre su soggetti originali. Impiego quasi un anno a sviluppare la sceneggiatura, è sempre lungo e complicato scrivere in solitudine e invece stavolta ho scoperto a teatro LE PERE, lo spettacolo di Florian Zeller.
Sono stato immediatamente sedotto dalla originalità della costruzione del testo.
La pièce comincia con un padre e sua figlia che dialogano in scena per una quindicina di minuti, in un’atmosfera di commedia piuttosto leggera. Buio, poi si passa alla scena successiva, e si ritrova lo stesso personaggio del padre insieme alla figlia… ma questa volta è interpretata da un’altra attrice. Ci si domanda allora se la prima attrice è sua figlia oppure no, si inizia a dubitare del personaggio che si è appena visto. Siamo confusi, dubitiamo di quello che vediamo, lentamente scopriamo che il protagonista della nostra storia sta perdendo la memoria! Florian Zeller ci fa entrare nella testa del suo protagonista. A teatro, il punto di vista è sempre quello dello spettatore e qui Zeller è riuscito ad adottare un punto di vista soggettivo… É un formidabile tour de force teatrale.

 

Come avete sviluppato la sceneggiatura con Jérôme Tonnerre ?

Non si tratta di un adattamento cinematografico del testo teatrale. I miei produttori, Jean-Louis Livie e Philippe Carcassonne, ci hanno incoraggiati a prendere le distanze dalla struttura del testo teatrale, e anche il drammaturgo Florian Zeller ci ha spinti nella stessa direzione. Al cinema, il campo/controcampo fa scattare immediatamente la soggettiva del protagonista. Basta passare dallo sguardo del personaggio a quello che sta osservando per rendere chiaro di chi sia il punto di vista. La struttura deve essere diversa e proporre uno spazio differente rispetto a quello dello spettacolo teatrale. Abbiamo cercato in svariate direzioni ed è Jérôme Tonnerre che ha avuto l’idea e ha immaginato il personaggio a bordo di un aereo. Senza dubbio partito per un ultimo viaggio, un andata senza ritorno. Ma dove va ? Cosa troverà alla fine del suo viaggio ? Il viaggio è stato la linea guida, sulla cui traiettoria si muove il film. Niente è più cinematografico, evidentemente, di un personaggio che viaggia da una direzione all’altra. Vorrei precisare che questo viaggio non ha nulla di fantasioso, o onirico, anche se lo svolgimento del racconto si rivela, diciamo, come un processo «mentale»: siamo nella testa di un uomo. Capiamo rapidamente che quest’uomo ha un obiettivo, un’ idea fissa: ricongiungersi con la figlia che vive in Florida. Improvvisamente appare la scritta « medico » sulla cartella e riconosciamo i sintomi della perdita di memoria. Non volevo fare la cronaca di una malattia. Per me il film è la storia di un uomo che va a trovare sua figlia in Florida…

 

Come avete avuto l’idea di affidare il ruolo principale a Jean Rochefort ?

Il desiderio di lavorare con Jean è stato uno dei motivi che mi ha spinto a lavorare su questo film. Volevo rivederlo al cinema e offrirgli un ruolo a sua misura, o per meglio dire fuori misura. Questo ruolo di “padre” ha qualcosa di shakespeariano. Ma è anche un ruolo pieno di humour. Jean è un attore completo che incarna questi due aspetti. Possiede la leggerezza tipica delle commedie di Yves Robert o di Philippe De Broca e la parte misteriosa, la crudezza, e quasi una sorta di violenza. Penso a UN ÉTRANGE VOYAGE di Alain Cavalier, e soprattutto a IL TAMBURO DI LATTA di Schlondorff. Rochefort, come attore, favorisce questa mescolanza di toni e di generi.

 

La malattia del padre permette di evocare con il tempo un rapporto che non è più lineare e che offre più libertà narrativa.

Ci sono tre linee temporali nel film. Il viaggio in Florida, i due mesi che precedono questo viaggio e che ci informano sul personaggio di Claude. E poi ci sono questi sbalzi di memoria che sono come delle immagini mentali. Immagini legate a sensazioni, a ricordi nascosti. Per esempio, quando si infiamma per sbaglio un mucchio di fieno ; quando guarda, intirizzito, sua madre che sta suonando il piano, o durante la guerra, quando si sente minacciato. Tutto quello instaura un paesaggio mentale e sensoriale che arricchisce il personaggio di Jean. Adoro queste immagini impressioniste che ritroviamo nel cinema d’Alain Resnais e in particolare in MON ONCLE D’AMÉRIQUE. É sufficiente una tenda che si muove grazie a un soffio di vento per creare una rima visiva e collegare il presente con il passato…

 

Claude canta una canzone di Jean Sablon, « puisque vous partez en voyage»…

É una delle magiche coincidenze di questo film. Volevo un momento di complicità tra Claude e sua figlia, e Jean ha proposto questa canzone. Mi sono reso conto che quella canzone rifletteva il tema del viaggio in Florida. La destinazione del viaggio è nata quasi per caso, poi poco a poco mi sono accorto delle coincidenze. Il modello della macchina Florida, il succo d’arancia, Miami e le palme…la Florida diventa questo luogo mitico dove si è al sicuro, o dove niente può più aspettare. É il luogo della pacificazione, dove tutto ciò che ci ferisce nella vita smette di farci male. In fondo, la Florida, è un pò la sala del cinema, uno schermo-scrigno dove si possa sognare, dove le persone che amate sono sempre con voi…

 


 

JEAN ROCHEFORT

 

Perchè ha scelto di partecipare a questo film ?

Non è stata una scelta facile per me. Era una situazione imbarazzante alla mia età, ho alcuni amici che soffrono di questa malattia. Avevo molti dubbi e preoccupazioni relativi al soggetto. Ma ne abbiamo parlato molto con Philippe Le Guay e Jérôme Tonnerre, che sono venuti a trovarmi molto spesso durante l’anno e poco a poco, mi sono fatto convincere ad intraprendere questa avventura.

 

Dopo aver accettato di girare il film, ha sollevato delle obiezioni sulla sceneggiatura. Aveva suggerito di «ravvivare lo stufato della domenica». Quali erano i punti che secondo lei andavano rivisti ?

Desideravo che la sceneggiatura lavorasse più in profondità sulla psicologia del personaggio. Il senso estetico di Philippe è innegabile, ma volevo un pò più di sostanza.
Non volevo che il personaggio fosse troppo “pulito”. Non potevo immaginare questo ruolo, per esempio, senza la scena della pipì sulla macchina ! Quella scena per me è rappresentativa. Quando Claude fa pipì sulla macchina, dimostra come sia di fatto sorprendente: comincia a piangere perchè capisce, in quel preciso istante, che è rovinato. C’è un momento di forte presa di coscienza. La cosa più terrificante di questa malattia sono i momenti di lucidità.

 

Si ha la sensazione che il personaggio che lei interpreta sia autorizzato a prendersi tutte le libertà, a correre tutti i rischi.

Quando si soffre di questa malattia a questo stadio, nulla è impossibile, la situazione può precipitare da un momento all’altro. Durante una scena, Claude, il mio personaggio, parla a Sandrine Kiberlain e ad Anamaria Marinca e improvvisamente, è colto da una collera improvvisa e chiede di essere lasciato in pace ! Perde così qualsiasi forma di buona condotta e di educazione. Improvvisamente, tira un urlo quasi animalesco e esclama “La pace !” come una volpe presa in trappola.

 

Che genere di regista è Philippe Le Guay ?

Philippe ha un grande senso estetico negli allestimenti e nel suo modo di girare, qualità che purtroppo sono sempre più rare. Mi ricorda il modo di lavorare di Bertrand Tavernier, ma con un tocco personale.
In partenza, ho dovuto adattarmi perchè si girava spesso con due telecamere, non ero abituato. É osservando quello che facciamo che possiamo migliorare. Anche la sceneggiatura subisce modifiche continue, la versione finale non è mai identica al testo originario.

 

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