Visto che questa settimana e’ uscito in streaming “Favolacce” dedichiamo questo articolo alla storia e alle parole di Elio Germano, uno degli attori italiani piu’ bravi di questi ultimi anni.
Germano nasce a Roma nel 1980 e, dopo una piccola pubblicità, esordisce a 13 nel film “Ci hai rotto papà” di Castellano e Pipolo.
Poi seguirà il famoso spot del Kinder Bueno e tantissima gavetta, da “Il cielo in una stanza”, “Via Zanardi 33″, “Concorrenza sleale”, “Che ne sarà di noi”, “Romanzo criminale”, fino al nudo integrale di “Nessuna qualità agli eroi”.
Ma la svolta e’ con l’interpretazione, assieme a Riccardo Scamarcio, in “Mio fratello è figlio unico” di Daniele Luchetti per il quale vince il David di Donatello come miglior attore.
Sentiamo allora le parole di Elio Germano (molto schivo a rilasciare interviste) sui suoi inizi:
“La mia prima parte forse, a pensarci bene, e’ stata una recita in Colonia, al mare. Credo che facessi Moogly, ne ‘Il libro della Jungla’. Avrò avuto sei anni. Considerarlo un esordio è pericoloso, direi. Però provai il desiderio di riprovarci con gli amici nel paese dei miei, a Duronia.
Poi una coincidenza: A piazzale degli Eroi, dove i miei nonni erano portinai, abitava Jole Silvani, un´attrice di Paolo Poli.
Lui mi consigliò la scuola del Teatro dei Cocci finii lì e fu la mia fortuna.
Mi prendevano in giro: ‘A Dàstiiin!’. Per dire che assomigliavo a Dustin Hoffman. C’era del vero: non sapevo parlare bene, comunicare con le ragazze, esprimere le mie idee. Ero muto. Recitare, anche se non era ancora una lavoro, era già una liberazione.
Non ho mai pensato, nella mia vita, che avrei fatto questo mestiere. E’ accaduto.
Io ho amato follemente recitare, ma mi sono sentito un attore professionista, uno che vivrà di questo, solo dopo aver vinto il David di Donatello nel 2007 per ‘Mio fratello è figlio unico’.”
Dal 2008 le parti di Elio Germano diventano sempre piu’ importanti, da “Il mattino ha l’oro in bocca”, “Tutta la vita davanti”, “Come Dio comanda”, passando per il musical “Nine” di Rob Marshall.
Ma nel 2010 c’e’ anche la consacrazione internazionale: “La nostra vita“, sempre di Daniele Luchetti, per il suo toccante e disperato Claudio, operaio edile romano, che perde la moglie e deve assicurare ad ogni costo un futuro ai propri figli vince il premio come miglior attore al Festival di Cannes 2010.
Sentiamo sempre Germano:
“Mi disegnano cattivo ed e’ vero che questo mi interessa molto. Non è una cosa pianificata a tavolino, è il modo in cui ho interpretato questi ruoli. La rottura degli stereotipi bene/male e buono/cattivo è una cosa che mi interessa molto”.
Dovrebbe essere persino banale, visto che il teatro del più grande dei grandi, Shakespeare è tutto fondato sulla duplicità.
Ma nel cinema italiano, per lungo tempo, hanno dominato le maschere fisse. Quando riesco a rompere questo tabù, io ne sono felice.
Continuo ad abitare nel quartiere popolare di Spinaceto.. lì avevo la casa, e lì sono rimasto, senza la pretesa che questo diventasse un accessorio della mia immagine pubblica.
E’ curioso questo lato della celebrità: per lungo tempo abiti in un posto e ti considerano quasi uno sfigato. Poi vinci a Cannes e ti trovi i paparazzi appostati, come se fosse una cosa da zoo… Ecco perché non è snobismo.”
Altri film importanti di Elio Germano tra il 2010 e il 2012, sono “La fine è il mio inizio” nel quale interpreta interpreta il figlio di Tiziano Terzani e “Diaz – Don’t Clean Up This Blood” di Daniele Vicari.
Un altro importante premio (Globo d’oro come miglior attore) arriva per il suo ruolo da protagonista in “Magnifica presenza” di Ferzan Özpetek.
Elio Germano sull’essere attore:
«Non faccio differenza tra cinema, tv e teatro, quel che conta è la magia. Se devo definire l’attore dico che è un mezzo di trasporto. Per me e per il pubblico vuol dire affacciarsi in una sfera “altra”. Che è un meccanismo anche per perdersi.
Se ci si pensa quelli sono gli unici momenti della vita in cui siamo felici. La felicità è quando non siamo (presenti a noi stessi). Quando ci perdiamo. Nell’altro, nelle cose.
La sfida è riuscire a essere funzionale al perdersi dello spettatore. Tutte le volte che l’attore si ritrova e pensa a sé stesso non prende più per mano chi lo guarda. Se invece ti perdi nelle cose sei un mezzo di trasporto. Ecco, chiamiamola sincerità.”
Dopo due film interessanti come “Padroni di casa” di Edoardo Gabbriellini e la commedia “L’ultima ruota del carro” di Giovanni Veronesi, per Germano arriva un altro grande personaggio: Giacomo Leopardi nel “Il giovane favoloso” di Mario Martone, con quale vince il suo terzo David di Donatello come miglior attore.
Sentiamo le parole di Elio Germano sulla politica e sui social:
“C’è una deriva culturale di pensiero critico enorme ma non solo in Italia. Costruiamo il nostro pensiero sposando le opinioni altrui. Non esistono più le assemblee. Mentre per me politica è riunirsi e discutere insieme le cose. Poi, eventualmente, trovare dei rappresentanti. Oggi è il contrario.
Ma chi rappresenta deve ascoltare gli altri, non inventarsi delle cose per convincerli. Si dice “parla bene o è bello e quindi lo voto”. La bellezza premiamo? La fichezza, la coolness per usare una parola ancora più fica?
La democrazia funziona se tutti sappiamo di che si parla. Dovrebbe fondarsi innanzitutto sulla formazione delle persone per poi farle scegliere con la propria testa.
Il social mio è negli spazi sociali ed è già duro da realizzare perché i centri sociali li chiudono o la polizia mi chiede i documenti come se stessi andando a rubare, colleziono denunce e querele. Poi c’è il tempo. Vorrei capire dove la gente trova il tempo di scrivere e leggere cose sul telefonino lamentandosi però di non avere il tempo per fare niente. Io non riesco: preferisco vivere”.
Negli ultimi cinque anni Elio Germano e’ stato molto attivo con tanti film importanti, con “Suburra”, “Alaska”, “La tenerezza” (altra candidatura al David), “Io sono Tempesta”, “Troppa grazia” e appunto “Favolacce” dei fratelli Damiano e Fabio D’Innocenzo, molto apprezzato dalla critica.
E ovviamente la sua grande interpretazione di un altro personaggio dell’arte italiana, Antonio Ligabue nel film “Volevo nascondermi” di Giorgio Diritti con il quale proprio pochi mesi ha vinto l’Orso d’argento per il miglior attore al Festival di Berlino 2020.
E proprio su questo film ha recentemente dichiarato:
“Ligabue aveva un rapporto di scambio sincero con poche persone, che possedevano davvero qualcosa in più. Spesso erano le famiglie più povere ad accoglierlo. O artisti come lui, dalla vita non ordinaria, che si riconoscevano in quella differenza.
Nel mio metodo di lavoro non cerco mai di attingere alle cose personali. Adotto il meccanismo contrario: cerco io di mettermi nella condizione di essere nato in una data epoca, di immaginare che se mio padre e mia madre mi avessero trattato come Ligabue, sarei diventato così. Più che andare io dal personaggio cerco di ricondurlo a me. Certo quando devi pensare a una cosa mai provata, alle motivazioni di un assassino, magari mi ricordo di quando ho ammazzato una lucertola”.