L’inferno verde che non vogliamo vedere

Green border” e’ stato premiato a Venezia con il Premio speciale della giuria, ma paradossalmente il riconoscimento migliore e’ venuto dal governo polacco che ha tentato di boicottarlo e screditarlo piu’ volte.
 
Testimonianza che questo bellissimo film della regista (polacca appunto) Agnieszka Holland ha colpito nel segno e non puo’ lasciare indifferenti tutti gli spettatori.

 

Tra Bielorussia e Polonia, nelle insidiose foreste paludose che costituiscono il cosiddetto “confine verde”, i rifugiati si trovano intrappolati in una crisi geopolitica cinicamente architettata dal dittatore bielorusso Aljaksandr Lukashenko.
Sono per lo più fuggitivi, provenienti dal Medio Oriente e dall’Africa, che cercano di raggiungere  ’Unione Europea, attirati al confine dalla propaganda che promette un facile passaggio verso l’UE.

Pedine di questa guerra sommersa, nel tentativo di provocare l’Europa, si intrecciano le vite di Julia, un’attivista di recente formazione che ha rinunciato a una confortevole esistenza, di Jan, una giovane
guardia di frontiera, e di una intera famiglia siriana.

 

Con Behi Djanati Atai, Agata Kulesza, Maja Ostaszewska e Tomasz Wlosok,


 

Queste le parole della regista polacca su questa sua intensa e straziante opera:
 
“Le vicende dei personaggi che raccontiamo in questo film non sono accompagnate dal pathos dell’eroismo e del patriottismo.
 
La differenza fondamentale tra i rifugiati della nostra storia e quelli che oggi attraversano i confini dell’Ucraina è semplice: il colore della pelle. Tutti loro si sono trovati di fronte a una scelta a cui nessuno era preparato, ma che sono stati costretti ad affrontare. Anche i protagonisti delle altre storie parallele del nostro racconto affrontano una scelta analoga e i loro diversi punti di vista si uniscono per creare un quadro che vuole essere il più completo possibile.
 
Penso che nella loro vicenda, proprio come in una goccia d’acqua, si rifletta il nostro dualismo europeo, lo stesso dualismo a cui stavo pensando quando, trent’anni fa, intitolai il mio film “Europa, Europa”.
 
Il cinema davanti a tutto ciò non è completamente impotente, perché può mostrare “polifonicamente”, da diversi punti di vista, la verità sul mondo e sul destino dell’uomo. Attraverso la luce del pathos può illuminare l’impotenza e l’invisibilità di alcuni esseri umani che compiono scelte difficili, ed è in grado di farli uscire dall’ombra. Il cinema può porre domande a cui non sappiamo rispondere, ma che ci permettono, quando le poniamo, di dare un senso al mondo.”

 

E finiamo con le crude immagini del trailer ufficiale !!

 


 

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