Mercoledì 12 dicembre “La bicicletta verde” e’ stato protagonista dell’uscita degli Amicinema.
Come da buona abitudine apriamo lo spazio dedicato a tutti i commenti, critiche e spunti di discussione che vorrete lasciare sul film.
Dati Tecnici
Regia: Haifaa al-Mansour
Con: Reem Abdullah, Waad Mohammed, Abdullrahman Algohani, Ahd Kamel e Sultan Al Assaf.
Durata: 97 min
Trama del film
“Wadjda è una ragazzina di dieci anni che vive in un sobborgo di Riyadh, la capitale dell’Arabia Saudita. Pur vivendo in un mondo conservatore, Wadjda adora divertirsi, è intraprendente e si spinge sempre un po’ più in là nel cercare di farla franca. Dopo un litigio con il suo amico Abdullah, un ragazzo del vicinato con cui non potrebbe giocare, la bambina vede una bella bicicletta verde in vendita. Wadjda desidera la bici disperatamente per battere Abdullah in velocità, ma sua madre non gliela concede, poiché teme le ripercussioni di una società che considera le biciclette un pericolo per la virtù delle ragazze. Così Wadjda decide di provare a recuperare i soldi da sola.”
Avevo l’impressione di avere perso qualcosa non vedendolo e così il film è stato recuperato ieri, ad oltre un mese dall’uscita cui mi dolgo di non aver partecipato; in tutta onestà devo riconoscere che è uno dei più bei film visti ultimamente. Un film che vuol dire qualcosa è un’eccezione purtroppo…un film dove non è la ricercatezza formale il fine del film, ma è il passaggio dei contenuti (e quindi siano ben accette le inquadrature non a regola d’arte, la semplicità dei dialoghi, la ripetizione quasi ipnotica delle Sure per noi occidentali molto stranianti).
Perchè è utile vedere un film del genere? Perchè guardare in faccia il maschilismo becero, l’insopportabile e quotidiana umiliazione del “genio femminino” aiuta anche gli uomini occidentali (che magari si considerano lontani da queste pratiche di quotidiana violenza “esplicita”) a capire che si può ferire le donne anche in maniera più subdola, e non necessariamente meno dolorosa.
Il punto di vista della regista non fa sconti e tuttavia apre alla speranza…oltre la duna (versione Saudita dell’arcobaleno de “Il mago di Oz”) ci saranno un giovane uomo che ti vuol bene veramente (e non solo come fabbricatrice di figli – maschi preferibilmente – ) e una bicicletta verde che è il simbolo di una prima incrinatura delle sbarre (che possono anche essere dorate ma che importa? sempre la libertà ti negano).
La strada è ancora lunga Wadjda (che poi è il nome del film) ma stai aprendo il percorso…e molte altre ti seguiranno, stanne certa!
Questa volta faro’ la voce dissonante.
Pur riconoscendo una grande importanza a questa pellicola visto il contesto e le difficoltà nelle quali e’ stata girata, la bravura della giovane attrice e anche del cast a supporto, posso dire che mi sono un po’ annoiato e che non sono riuscito a cogliere tutta la poesia presente nel film.
Se dovessi guardare questo film indipendentemente da quando sopra direi che la sceneggiatura non fila proprio liscia, lasciando alcuni punti e alcuni snodi narrativi un po’ inutili e che alla fine soffocano l’emozione.
Molto bella invece la scena finale con Wadjda che vola con la sua bicicletta verso il futuro, o almeno verso un attimo di speranza per se e per tutte le donne arabe.
Scena finale da incorniciare…oserei quasi il paragone con l’occidentalissimo e bellissimo film “Thelma e Louise”..in entrambi i casi probabilmente bisogna essere donne per capirne appieno il significato, tuttavia (pur se separato dal genere) vedo in entrambi i finali l’affermazione della colpevolmente sottostimata dignità femminile.
LA BICICLETTA VERDE.
Il film mi è piaciuto molto. E’ bello per la densità di elementi. La ricchezza di significati contrastanti trattati delicatamente sul tema della condizione della donna. Delicatezza e forza di una ragazzina che esprime con un suo legittimo desiderio.una bicicletta verde. La “bicicletta” che trasmette un significato simbolico di libertà in una realtà soffocante per la donna. Inoltre è bella la speranza ad un possibile cambiamento su un “non detto” e “implicito” ma legittimo che hanno alcuni altri personaggi oltre la protagonista. Il venditore di biciclette che conserva la bicicletta,il compagno di giochi che aiuta l’amica ad andare in bicicletta, l’amica della madre che offre un lavoro migliore alla madre della protagonista e infine quest’ultima che, dopo tanti rifiuti alla fine regala la bicicletta alla figlia. Il film, con i suoi contrasti:delicatezza/forza, libertà/sottomissione, chiusura /cambiamento, ci apre ad una riflessione sul tema della condizione della donna ( purtroppo ancora attuale) e una speranza per una “piccola possibilità di riscatto della donna” ad una soffocante condizione.
Se l’obiettivo del film era farci conoscere meglio la condizione femminile in Arabia, si può affermare che è stato raggiunto. Il film è fin troppo didascalico, tanto che sembra fatto apposto per il mercato occidentale, perde in questo modo la poesia tipica del cinema medio orientale. A parte questo ho apprezzato particolarmente il ruolo della madre, dove si leggono tutte le contraddizioni di quella società in cui l’amore, anche quando esiste, è confinato dietro una serie di convenzioni religiose. Convenzioni che si riflettono anche nel confronto tra la madre e la direttrice della scuola. La prima poco incline ad adattarsi al sistema pur essendo una credente è confinata ad un lavoro fuori città, mentre la direttrice piegata alle sue regole ha fatto carriere nella scuola cittadina. I ragazzi sono li a fare da sfondo a questa storia, chissà interpretando le speranze che prima o poi tutto questo possa cambiare
Semplice e bello come ogni poesia questo film girato da Haifaa Al Mansour, unica donna regista dell’Arabia Saudita, uno dei paesi del Medio Oriente molto retrogrado nella questione femminile.
E’ la storia di Wajda, una bambina fuori dal coro, femminista e trasgressiva, lei non subisce le regole, le contesta, si pone domande, reagisce, a fatica le segue (unica che indossa scarpe da tennis, che non sa recitare il Corano come una filastrocca perfetta e mnemonica).
E poi il film usa come metafora il desiderio di una bicicletta. A Riyadh, capitale dell’Arabia Saudita, tutto è imposto alle donne, dipendenti da uomini egoisti, facenti parte di una cultura e tradizione tipicamente maschilista mascherata dalla religione.
Con leggerezza il film tocca molti argomenti interessanti, li sfiora, ma ce li mette sapientemente su un vassoio d’argento per farci pensare: donne che non possono lavorare in luoghi dove ci sono altri uomini, donne …